Dopo la quasi-bancarotta del 2022, alla presidenza dello Sri Lanka era stato eletto nella primavera del 2023 Ranil Wickremensinghe, politico navigatissimo ed ex oppositore del clan Rajapaksa (la famiglia responsabile del crack). Lo aveva voluto l’establishment finanziario internazionale, quale miglior garante del mega-prestito concesso all’isola dal FMI – un’iniezione da 3 miliardi di dollari erogata nel marzo 2023, giudicata necessaria a salvare il paese. Questo in estrema sintesi era stato l’esito della crisi dell’estate del 2022.
Anura Kumara Dissanayake, eletto nel settembre 2024 alla presidenza dello Sri Lanka
A partire dai primi mesi del 2022 infatti, in una situazione economica allo stremo, gruppi sempre più numerosi di dimostranti si erano accampati in pianta stabile davanti agli uffici della presidenza a Colombo, la capitale. Per chiedere a gran voce le dimissioni della cricca al potere. Soprattutto uno dei Rajapaksa, Mahinda, veniva accusato di corruzione e di pessima gestione della cosa pubblica (ottenimento di prestiti sconsiderati, dall’occidente e dalla Cina, che poi il governo non era riuscito a ripagare), col paese precipitato in una crisi di mancanza di cibo, carburanti e medicine. (Pechino detiene 7 miliardi del debito dell’isola su 36 miliardi complessivi). Alla fine i dimostranti avevano occupato le stanze del potere, mentre il presidente era fuggito all’estero (Maldive e Singapore), da dove aveva comunicato le proprie dimissioni – sebbene successivamente gli fosse stato consentito di rientrare a Sri Lanka.
Un’avversità dopo l’altra, la gente aveva una gran voglia di girare pagina. Prima vie erano stati i 30 anni di aspra guerra civile tra esercito singalese e guerriglieri tamil, durata dal 1983 al 2009. Inframezzata dalle sollevazioni marxiste del JVP, represse nel sangue dal potere di Colombo. Poi gli attentati alle chiese cattoliche e agli alberghi di lusso nel centro di Colombo, di matrice ancora opaca anche se, sembra, rivendicati poi dall’ISIS. A seguire, la lunga stagione del COVID, tra lockdown e crollo del turismo. Terminato o quasi tutto questo, nell’estate 2022, l’incredibile fallimento del governo Rajapaksa: inflazione galoppante, debito pubblico insostenibile.
Ma dall’estate 2023, nell’isola si è cominciato a respirare finalmente un clima di ripresa. Ed ora, in questo settembre 2024, l’elezione alla presidenza di Anura Dissanayake, un marxista leninista a capo della coalizione socialista National’s People Power. Un cambio di rotta radicale. Il nuovo presidente, eletto con una buona maggioranza, non ha promesso miracoli. Ma dovrà negoziare con le grandi potenze (soprattutto Cina ed India) per evitare nuove e più pesanti intrusioni nella economia del paese.
Tornano i turisti, “abbiamo molto bisogno dei vostri soldi” – dice con assoluta franchezza un operatore locale – a corroborare con euro e dollari la rattrappita esistenza quotidiana di una parte della popolazione (ma la valuta straniera possiede un buon effetto moltiplicatore, irrora l’economia di tante micro-realtà).
Perchè il turismo che ricomincia è una delle principali fonti di reddito dello Sri Lanka (fra le prime tre). Le altre? Senz’altro le rimesse degli emigranti all’estero, che lavorano nel Golfo ma anche in Europa. Moltissime tra costoro sono le colf e le collaboratrici domestiche, laddove una delle destinazioni-chiave, specialmente per le centinaia di migliaia di famiglie cattoliche della costa ovest, è l’Italia. Poi c’è l’abbigliamento a basso costo, quei ready made garments che un pò tutti i paesi dell’Asia del sud producono per l’export, qui a Sri Lanka manifatturati in apposite SEZ, le special economic zones dove gli imprenditori-investitori non pagano buona parte delle tasse. Infine, la risorsa sempreverde, di nome e di fatto, ossia il tè, del quale lo hill country dello Sri Lanka – ossia, delle colline tra gli 800 e i 2000 metri, nella parte centrale dell’isola – resta uno dei principali produttori mondiali.
Pescatore a Sri Lanka
Eppure, a lungo era sembrato che il dopo Rajapaksa fosse ancora Rajapaksa. Perché Wickremensinghe era diventato primo ministro in un nuovo governo ad interim, che nessuno aveva eletto, dove restava dominante l’influenza del clan che aveva guidato il paese per quasi vent’anni. Quello dei famigli e dei cronies dei Rajapaksa, appunto. Invece, adesso si volta pagina. Vediamo cosa combinerà Dissanayake. Nei confronti del quale, vista l’investitura popolare di un ampio voto favorevole dopo decenni di ingiustizie, un’apertura di credito è doverosa. Lo hanno scelto 6 milioni di persone sui 22 milioni di abitanti dell’isola.