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Dall'India allo Sri Lanka. A 200 anni dalla loro deportazione, i braccianti Tamil delle piantagioni del tè
Nello Sri Lanka la coltura del tè, introdotta dagli inglesi durante la dominazione coloniale, rappresenta tuttora uno dei fattori economici-chiave. E da due secoli a questa parte ciò avviene grazie al lavoro, sostanzialmente al bracciantato, dei cosiddetti “Tamil delle piantagioni”.
Non molti sanno infatti che lo Sri Lanka è un’isola multietnica, dove convivono da almeno da due millenni Sinhala, Tamil (che su 22 milioni di abitanti totali sono tra il 10 e il 12%), cattolici (attualmente 1.200.000 persone), oltre a 1.900.000 discendenti dei mori (i mercanti arabi dell’epoca, oggi divenuti musulmani). In aggiunta, vi esistono però altri 1.900.000 tamil, qui deportati 200 anni fa, per lavorare nelle piantagioni di tè e caucciù.

Dopo Rajapaksa lo Sri Lanka va sinistra
Dopo la quasi-bancarotta del 2022, alla presidenza dello Sri Lanka era stato eletto nella primavera del 2023 Ranil Wickremensinghe, politico navigatissimo ed ex oppositore del clan Rajapaksa (la famiglia responsabile del crack). Lo aveva voluto l’establishment finanziario internazionale, quale miglior garante del mega-prestito concesso all’isola dal FMI – un’iniezione da 3 miliardi di dollari erogata nel marzo 2023, giudicata necessaria a salvare il paese. Questo in estrema sintesi era stato l’esito della crisi dell’estate del 2022.