H.Y., 25 anni, è fuggita con un fratello ed una zia dal Tibet quando ne aveva 7. Non ricorda esattamente, era piccola, ma quando arrivò in India faceva freddo - doveva essere gennaio. La incontro a Dharamsala al Men Tse Khang/TMAI, l’Istituto Tibetano per la Medicina Tradizionale. Davanti a una grande mappa di Lhasa, l’ingrandimento- gigantografia di una foto dall’aereo, lei indica un paio di luoghi della capitale senza pero’ precisarli. Ero troppo piccola, ribadisce.
La sua fuga avvenne attraverso il Nepal, a piedi. Oggi non sarebbe più possibile. Una volta in India il suo gruppetto approdò a Dharamsala, capoluogo dell’Amministrazione Tibetana in esilio, dove H.Y. venne affidata al Tibetan Children Village (TCV). Lì, fino al secondo anno delle superiori, è cresciuta ed ha studiato tramite l’adozione a distanza, il sostegno di una donna tedesca. Una persona determinante per il corso della sua vita, che però la ragazza non ha mai incontrato. Successivamente, sempre grazie al TCV, H.Y. ha potuto proseguire gli studi scientifici in un College di Delhi, dove attualmente risiede in un ostello universitario. E’ sempre il TCV che continua a pagare le spese.
La storia di H.Y. è una delle tante che si possono raccogliere a Dharamsala (questa mi è stata raccontata nei giorni scorsi).
Il Tibetan Children Village (TCV) è il fiore all’occhiello dell’istruzione e dell’assistenza all’infanzia dei tibetani in esilio in India. Organismo non profit, autonomo, fondato dal Dalai Lama e poi affidato alla sorella nel 1960, il TCV si occupa dei bambini della diaspora. Fino a ieri, in special modo di quelli mandati a studiare in un paese libero (l’India) da genitori rimasti in Tibet (oggi invaso dalla Cina) – perché questo significava un’educazione moderna ma in linea con la propria cultura. E vicino al Dalai Lama, indiscussa guida spirituale della comunità.
Mc Leod Gunj (Dharamsala), Himachal Pradesh, India del nord. Tibetan Children Village, in classe. Foto Renzo Garrone
“Dopo il 2008 però, cioè dalle Olimpiadi di Pechino che hanno visto in tutto il Tibet vaste dimostrazioni contro la dominazione cinese, nel nostro Paese c'è stato un giro di vite delle autorità. Niente più fughe verso gli stati confinanti”- spiega il presidente del TCV, Thupten Dorjee, che incontro nella loro sede di Mc Leod Gunj. “Le fughe sono state fermate. Precedentemente, migliaia di tibetani ogni anno scappavano verso in India e Nepal, attraverso i passi himalayani”. Adesso questo rubinetto si è chiuso quasi completamente.
Ma il TCV, in esilio, tiene botta. Anche senza nuovi arrivi deve badare comunque a migliaia di bambini, con continuità. Dall’inizio in poche stanze, donate dal governo indiano su un’altura remota, si allarga oggi in una cinquantina di istituti in tutta l’India. Si tratta di comunità integrate, con case-famiglia per i bambini, semplici ma dignitose, con scuole e centri di formazione professionale. Al settembre 2018 lo stanziamento di Dharamsala ospitava complessivamente 1745 alunni, 1267 dei quali a regime di collegio. Si comincia dal nido e si studia fino ai 18 anni, dopo di che il TCV assiste coloro che scelgono ulteriori studi presso le università indiane. Per i meno intellettuali, ha pronte alcune scuole professionali. Vi sono anche case di riposo per anziani: si tratta di piccoli ospizi, parecchi tra i centri TCV in India ne ospitano (non tutti). A Dharamsala passano così una vecchiaia decente 109 persone, nate in Tibet ed oggi in India, circondate da un affetto comunitario non di maniera. Perchè gli stanziamenti dell’esilio tibetano in India sono più simili a dignitosi villaggi che a campi profughi.
Quella di Dharamsala, a 2000 metri tra le conifere himalyane, è anche la sede principale dell’istituto. Quella originaria, dove ha sede dal 1994 il TCV Head Office, ossia l’Ufficio di coordinamento per tutta l’India. Perchè dalla metà degli anni ’70 che sono stati aperti tanti centri in varie parti del paese. Di solito, in prossimità degli stanziamenti tibetani, quelli concessi da Nehru al Dalai Lama dopo il 1959 per sistemarvi la sua comunità. Oltre a villages simili all’originario, scuola e collegio che comprendono asilo nido, ricovero per anziani, centro di artigianato, vi sono anche scuole superiori, scuole di formazione ed ostelli. Inoltre, un piccolo numero di bambini viene sostenuto negli studi presso famiglie tibetane sparse nel vastissimo paese, di solito con i propri genitori. In tal modo il complesso delle strutture TCV ospitava, al settembre 2018, 11674 persone tra bimbi ed adolescenti. Tutti in India, mentre i rifugiati sono anche in Nepal e in Bhutan.
“Perchè niente da fare in Nepal e Bhutan?, Perchè lì non ne vogliono sapere dei TCV” - spiega Tsenkyi, storica responsabile delle adozioni a distanza dell’organizzazione. Troppo forti le pressioni cinesi su questi due piccoli stati confinanti, che accolgono un certo numero di rifugiati, ma non possono (ne’ vogliono) fare di più. Tsenkyi è una tibetana di 40 anni nata nell’esilio indiano, e cresciuta qui al TCV. La incontro nell’ufficio che gestisce presso la sede principale, insieme alla collega Dikyi. Ci accompagna per mezza giornata in un giro del grande collegio. Ci conosciamo da anni, fa piacere a entrambi ritrovarsi adesso 15 anni dopo. Ora è sposata con due figli.
Leod Gunj (Dharamsala), Himachal Pradesh, India del nord. Tsenkyi, la storica responsabile dell’Adozione a Distanza del TCV, e Renzo Garrone nel novembre 2018. Foto Alessandro Stano
Il TCV è importante poichè, a Dharamsala, questa è l’istituzione-chiave tramite cui i tibetani hanno tirato su le generazioni del domani. Facendole studiare, fin da subito, ma al contempo garantendo loro affetto, in una struttura solida, disciplinata e ben congegnata. Con l’istruzione per tutti, ma di tipo mirato, hanno prevenuto il degrado e il lavoro minorile, preservando al contempo la propria integrità culturale. Dopo 60 anni d’esilio i risultati per i tibetani in esilio, 110.000 persone, sono spettacolari: alfabetizzazione completa per gli alunni del TCV, risultato quasi identico per gli altri tibetani della diaspora, educati in ogni modo in India. Senza dubbio le difficoltà, davanti alle quali è necessario tirar fuori tutte le risorse di cui si dispone, hanno stimolato la riuscita dei ragazzi. Non è facile la vita del profugo. Ma risultati del genere sono frutto di rigore, applicazione e disciplina nel contesto di una piccola comunità. Che, nonostante tutto, ha saputo mantenere una sua coesione.
Tra gli alunni del TCV rimane di solito un debito di riconoscenza molto forte verso la struttura che li ha educati. “Al punto che”, spiega Migmar del Dipartimento Educazione, “il 70% di loro ritorna da noi, nonostante i magri salari, per ricoprire un qualche ruolo professionale”. Questo Giving something back è sentito come doveroso. Tutti i ragazzi con cui ho parlato in questi anni sono molto grati all’istituto.
Anche i bimbi più in difficoltà, tramite il TCV, sono cresciuti infatti (e continuano a farlo) in un contesto sociale autenticamente tibetano. Inseriti in quanto di più simile ad una famiglia possa esistere, ragazzini e ragazzine vivono in gruppetti di 30/35 persone, con due genitori adottivi, in un’abitazione autonoma dotata di cucina, servizi, stanze in comune e stanze da letto. Il tutto è finanziato da organismi umanitari esteri (fino a due anni fa aderivano al circuito degli SOS Villages, adesso ne sono usciti e questo ha dimezzato il loro budget) ma anche da migliaia di persone singole, tramite il meccanismo dell‘adozione a distanza. La vita dei bambini è regolata dalle lezioni, dal gioco e da turni di condivisione del lavoro per mandare avanti ogni struttura – l’autosufficienza, la consapevolezza si impara con la pratica.
Un punto forte riguarda il fatto che l’istruzione, al TCV, è di qualità. Un misto di quanto di meglio i rifugiati (istruiti in India) riescono a tramandare della propria ricchissima tradizione, combinata con principi educativi moderni ed avanzati, mediati spesso dall’occidente. Diffuso il metodo Montessori. “Ma oggi assumiamo docenti in India solo su base annuale” spiega ancora Migmar dell’Education Department. “Invitiamo gli insegnanti e facciamo colloqui. Venire al TCV fa curriculum, eèuna posizione di un certo pregio. Purtroppo però possiamo offrire solo salari non competitivi: qui un insegnante di matematica delle medie percepisce solo 12.000 rupie al mese, in una comune scuola pubblica indiana sono 20.000, ed in più in un posto statale ti versano i contributi”.
Da dove arrivano i fondi dunque? Secondo dati ufficiali dello stesso TCV, il 49% da organizzazioni umanitarie varie, il 12% da semplici individui di tutte le nazionalità, il 14% dalla comunità tibetana. Fino all’anno scorso questa era la situazione, ricavata dai loro Rapporti Annuali. Da quando la pluridecennale relazione con l’SOS si è interrotta, ed il TCV si è trovato a dipendere soltanto da ONG e da individui singoli, è diventato pressante darsi da fare col fundraising. I vari TCV ed anche quello di Dharamsala non hanno altre fonti di reddito, del resto.
Mc Leod Gunj (Dharamsala), Himachal Pradesh, India del nord. Bambini del TCV scherzano davanti all’obiettivo. Foto Renzo Garrone
“Anche numerosi gruppi italiani negli anni ci hanno appoggiato in questi anni” – dice Tsenkyi, mostrando i faldoni alle sue spalle pieni di nomi di organizzazioni e di persone di tutto il mondo. Naturalmente, per l’adozione a distanza è richiesta una certa continuità del sostegno. Quindi la proposta è quella classica: di un finanziamento annuale. “Il donatore riceve una scheda con la sintesi della storia del bimbo, una sua foto, di volta in volta un rapporto dei progressi della sua educazione, e sue lettere in inglese. Proponiamo a organismi umanitari e di solidarietà di tutto il mondo, e alle persone singole, di pagare a un bimbo tibetano studi, vitto e alloggio: la richiesta agli sponsor è 40 dollari al mese nel 2018, anche se è una cifra che basta appena, e spesso non è sufficiente. Un bimbo costa in effetti 3500 rupie al mese”, conclude Tsenkyi, tirata su lei stessa qui in questa struttura. In alternativa, è ben accetta anche la donazione di una cifra libera, secondo le possibilità di ognuno, destinata in questo caso a un fondo generico che viene usato laddove maggiore è il bisogno.
Mc Leod Gunj (Dharamsala), Himachal Pradesh, India del nord. Bandiere da preghiera tibetane lungo il percorso della khora, la deambulazione rituale del buddhismo tibetano. Questa khora a Mc Leod Gunj si dipana subito sotto al Monastero di Namgyal. Foto Renzo Garrone