Un minibus locale si arrampica lungo le pendici del Bromo, nell’est di Giava. Complesso vulcanico straordinario, che ha ottenuto lo status di Parco Nazionale, il comprensorio del Bromo è anche uno dei luoghi mitici dell’Indonesia. Esteso su 80.000 ettari ad un‘altitudine che varia tra i 1500 e i 3676 metri, il Parco culmina con la vetta più alta di Giava: il Gunung Sumeru, che incidentalmente è anche un vulcano attivo.
Saliamo dalla città costiera di Probollingo, sulla costa nord giavanese. Fino a Cemoro Lawang, il paese da cui si accede all‘area protetta, sono 56 km. Dapprima si resta in collina, poi si attraversa un tratto di savana, quindi si sale in modo molto ripido. E si continua a salire con pendenze anche del 20%, in mezzo a una natura sempre più emozionante, tra dirupi coltivati ad ortaggi.
Il richiamo alle Cinque Terre italiane viene immediato, soprattutto per via delle pendenze. Ma alle Cinque Terre si trova quasi solo la vite, mentre qui prevale un’orticoltura molto varia ed intensiva. Autentici dirupi vengono coltivati ad ortaggi, inframezzati da alberi simili alla mimosa mediterranea, e ad alberi di casuarina. Colpisce come i contadini del posto riescano a coltivare su queste dorsali impervie, senza terrazzamenti protetti da muri a secco che possano agire in termini di contenimento. D’estate gli agricoltori del Bromo soprattutto crescono patate e cipolle, che non hanno bisogno d’acqua, d’inverno quando piove compaiono mais e carote.Il territorio del Parco è abitato dai Tengger, popolazione di fede induista.
Gli altari induisti della popolazioneTengger, nel comprensorio del Bromo, a Giava. Foto Renzo Garrone
Il Belvedere del Semeru National Park. Magia del paesaggio ed overtourism
A partire dal villaggio di Cemoro Lawang, la visita al comprensorio vulcanico prende i contorni di una escursione bellissima, anche se inflazionata (il Bromo è una delle destinazioni turistiche Indonesiane top). Si comincia con il quasi obbligato assieparsi in attesa dell’alba presso un certo belvedere, raggiungibile in una mezzoretta di jeep dal paese. Da qui il panorama – una delle immagini iconiche dell’Indonesia – è assolutamente stupendo, ma per goderselo si ha a che fare con migliaia di persone dotate di smartphone e macchine fotografiche, in un affannato anelito all’affaccio migliore.
La gita implica svegliarsi alle 3.30 del mattino, stiparsi in una jeep per essere su alle 4.30, dopo essersi fatti un caffè e due fritti (buonissimi i tempeh), se ci riesce, in uno dei chioschi sul sentiero a ridosso del belvedere - altrimenti a digiuno. Tutto per assistere dall’alto al miracolo del sole che sorge su un complesso vulcanico che definire suggestivo è dir poco. Ma sempre gomito a gomito con centinaia e centinaia di altri turisti. Overtourism, lo chiamano adesso.
Selfies dell'alba al Belvedere sul Bromo/1. Foto Renzo Garrone
Per come la vedo io, se si tratta di un evento episodico, ci può pure stare. Ma chi sia preventivamente allergico a queste commistioni, seppure occasionali, come immagino molti di coloro che mi leggono, si ritenga avvertito. Il belvedere del Bromo all’alba è puro consumismo turistico, con milioni di foto, selfie e frenesia. Almeno d’estate, la metà dei visitatori è indonesiana. Il paesaggio resta bellissimo, che discorsi, ed andarci in questo modo diventa interessante anche dal punto di vista antropologico – ma deve piacere il genere. L’alba di massa sul Bromo è solo uno dei riti tipici della contemporaneità. Un appuntamento di folle che sgomitano non solo l’alba ma per scattare qualche foto di sè e degli amici da postare all’infinito. Per piantare l’ennesima bandierina, anche qui ci sono stato. Un appuntamento un po‘ surreale: un assembramento pazzesco, con una densità di folla paragonabile a quella di un’uscita dallo stadio, dal cinema del penultimo spettacolo. Ma qui sei su un vulcano a 2500 metri, la natura attorno stupenda. C’è più emozione, ma anche più gente...
Selfies dell'alba al Belvedere sul Bromo/2. Foto Renzo Garrone
In ogni modo, alle 6.15, 6.30 al massimo lo spettacolo è finito, i chioschi di cibo cominciano già a smantellare e si ritorna giù, sempre con la jeep con cui eri arrivato, perchè questo prevede l’escursione-standard che si acquista la sera prima negli hotel di Cemoro Lawang. Ci si può far mollare alla cosiddetta King Kong Hill (Viewpoint n.2), e da lì camminare 6 km in discesa fino al Pasir Laut (Mare di cenere). Oppure, come fa la maggioranza, si può compiere l‘escursione per intero, che comprende prima l’alba dal belvedere, poi la discesa fino al parcheggione delle jeep, da qui un salto a piedi alla grande caldera del vulcano, per tornare ancora in jeep in hotel a metà mattina.
Suddetto parcheggione, che ospita le caratteristiche jeep colorate del Bromo, viene improvvisato ogni mattina nella pianura ai piedi della caldera attiva, fatta di erosioni e sedimenti di antiche eruzioni – il fondale di un grandissimo cratere, oggi vuoto. A 400 metri si trova il Poten Temple, un tempio molto suggestivo in stile balinese (i Tengger sono indù), peraltro chiuso alla visita degli occidentali come quasi tutti i luoghi dell’induismo in Indonesia. Qua fuori, sulla sabbia, le jeep attendono un’altra ora e mezza al massimo i propri clienti, per concludere l’escursione tornando a Cemoro Lawang.
Questo il copione. Ma visto che dopo l’affaccio sulla magnifica caldera è possibile rimanere, e giocare a perdersi nel Pasir Laut, nel Mare di cenere, lascio che la mia jeep torni alla base senza di me, e vado per conto mio. Da qui al villaggio di Ngadas a piedi sono 12 km, mi spiegano. Per i pochi che ci vanno, il ritorno si può fare in moto, assoldando ragazzi locali. Mentre mi avventuro nei sentieri di sabbia scendendo dalla caldera sul fianco della montagna, immagino le guest houses di Cemoro Lawang che esalano le ultime colazioni comprese nel prezzo per coloro che tornano dall‘escursione. Io invece mi fermo nel Pasir Laut.
Il Mare di cenere, o Pasir Laut, che si estende attorno al comprensorio del Bromo. La zona è Parco Nazionale. Foto Renzo Garrone
La grande caldera
Emozionante. La caldera del Bromo emette un frastuono sempre più forte e netto man mano che ci si avvicina. Sull’orlo del cratere ciò diviene mostruoso rombo, come se mille generatori di corrente lavorassero insieme. Succede, o almeno è successo le volte che io mi sono arrampicato fin quassù, che di mattina i vapori sulfurei vengano dispersi dal vento. Allora l’affaccio è possibile, le esalazioni di gas tossici minime. Ma in assenza di vento, questi vapori saturano il perimetro della caldera, oppure ne escono e si disperdono in nuvole sul pendio. E lo zolfo assale occhi e narici. Stamattina comunque si riesce a stare, quindi mi avventuro sul crinale.
Da dove si vede, tra l’altro, cosa succede sotto, tra gli umani. Le legioni di visitatori che avevano preso d’assalto il viewpoint dall’altra parte della valle, consumato il rito dell’alba con macchine fotografiche e cellulari, si sono riversate qui in moto ed in jeep. Giunti al pianoro attorno al succitato tempio induista, devono però fermarsi, oltre con mezzi a motore non è permesso andare. E’ dunque proprio qui che si dispone e ridispone ogni giorno la cittadella provvisoria dei Tengger locali che lavorano col turismo. Da sempre loro allevano i propri cavallini, che oggi usano - a centinaia - per scarrozzare i turisti dal parcheggio delle jeep alla scalinata che conduce alla caldera.
Le installazioni per una ristorazione provvisoria offrono street food tradizionale, che in Indonesia è spesso squisito. Mentre vicino al belvedere i tanti indonesiani in visita, ossia due terzi dei turisti totali, scelgono orribili noodles in scatola, precotti, si può optare invece per gli squisiti tempeh, una delle grandi specialità del paese, e per le banane fritte, le onnipresenti pisang goreng - accanto ai quotidiani tè e caffè. I turisti che periodicamente porto in giro hanno fatto veramente onore a queste libagioni (la colazione dell’agosto 2017 non voleva saperne di finire…).
Altri Tengger, giù vicino al Poten Temple, gestiscono i soliti carretti ambulanti, con piattini di tofu e tempeh; minestre tradizionali con noodles e polpette di carne (bakso); minestre con pollo, noodles e uova aromatizzati alla curcuma (è la soto ayam, la soup nazionale, ed una delle mie periodiche passioni).
La soup del mattino, dopo l'alba sul Bromo. Foto Renzo Garrone
Scramble to the Viewpoint
Ma voglio tornare ancora un momento all’alba, per descrivere l’ascesa prima che faccia chiaro al Belvedere, o Viewpoint numero 1, lungo la stretta strada carrozzabile che si arrampica sulla montagna.
Ho già detto quanto siano belle le jeep locali. Portata 6 persone, tutte uguali anche se di colori diversi, partono da Cemoro Lawang alle 3.30 del mattino e sono già rientrate in paese alle 10.00. Attenderanno poi parcheggiate fino alla mattina seguente, quando sarà il momento di tornare in scena. Le jeep costituiscono un altro dei business essenziali dei Tengger, che altrimenti rimarrebbero solo semplici contadini. Ebbene, nelle ore dell’alba esse paiono moltiplicarsi. Diventano letteralmente centinaia. Scendono prima nel pianoro, lo percorrono sollevando grandi nuvole di polvere trafitte dai fari nel buio, poi dopo qualche km imboccano una ripida strada in salita. Ma essendo troppe, non tutte riescono ad arrivare con successo alla meta, una stretta curva da cui parte il sentiero che conduce al belvedere. Quindi le jeep alla fine sono costrette ad arrembarsi di lato, parcheggiando faticosamente lungo lo stretto percorso, dove possono. E qui sbarcano i turisti, nel buio, senza indicazioni, spesso piuttosto lontano dal sentiero giusto.
Succede dunque che i primi di questa folla all’assalto del belvedere parcheggino bene, ma che gli altri vengano lasciati indietro, per centinaia di metri e persino per un km, e al buio e senza indicazioni razionali. Il trambusto si può immaginare.
Per cui, non finisce qua. Onde colmare il deficit di percorso, nella mezzora che separa i ritardatari dall’alba, subentrano altri Tengger in moto che risalgono in mezzo alla folla disordinata e smarrita scaricata sul selciato, che non sa bene dove dirigersi. Per 20.000/ 30.000 rupie (2-3 euro a corsa), le moto caricano i turisti più lontani o più pigri o più scoppiati o più anziani per compiere il tratto finale. Non vi sarebbe nulla di male, le moto servono, se non per il pauroso effetto combinato che ne deriva, di rumori e fumi di scappamento nel buio. Che per i contadini indonesiani della zona è ordinaria amministrazione, ma per i tanti turisti europei non abituati alle contraddizioni del sud del mondo diventa quasi scandaloso. Offensivo, insopportabile.
I Tengger coi propri cavallini, nel Pasir Laut. Lavorano trasportando i turisti. Foto Renzo Garrone
Io mi diverto un pò a guardare questi occidentali, la maggioranza dei quali decisamente salutisti, per cui mezzora di scappamenti al Bromo vanificano gli sforzi di purificazione dei mesi precedenti… Un inquinamento grossolano, certo, che fa incazzare perchè sarebbe evitabile. Ma ai miei occhi diventa anche la violazione involontaria, da parte dei poveri del sud che hanno solo bisogno di lavorare e le pensano tutte, di una certa etica comportamentale del nord. Quella (sacrosanta) logica di civiltà che spesso in occidente, nel vuoto pneumatico della mancanza di motivazioni, ha fatto assurgere il salutismo a fattore identitario.
D’altra parte, da anni ormai il piazzale, questo Viewpoint sul Bromo, si rivela del tutto insufficiente per i flussi dell’alba. E‘ ormai la terza o quarta volta che vengo, soggiacendo anch’io allo stesso rito pagano (sarei anche venuto in un altro modo, spesso, ma ho dovuto portarci i miei turisti, e per una volta, come ho scritto, si può fare).
Selfies dell'alba al Belvedere sul Bromo/3. Foto Renzo Garrone
Il fatto è che le centinaia e centinaia di persone che arrivano sono semplicemente troppe per lo spazio a disposizione. Si sgomita per qualche foto, appunto, sempre le stesse, e però si può capire che ciascuno voglia fare le sue dopo tutta questa fatica. Ma si resta anche sgomenti, soprattutto all’inizio, per la magnitudo e gli umori di una folla che, in preda a una sorta di delirio, impedisce l’accesso ai parapetti del belvedere. Solo quando, trascorso il momento topico, l’alba si allontana ed il sole prende a salire piano nel cielo; solo allora la folla rifluisce, come paga di quegli effluvi della prima luce. Restano i pochi rimasti indietro a fruire dei colori del mattino, peraltro bellissimi lo stesso. A reimpossessarsi dello spazio.
Ritardatari, certo. Qualcuno frustrato. Altri magari più sereni. Perchè anche questo è possibile, ovviamente: prendersi un giorno di più, noleggiare una jeep tutta per sè, e venire a vedere lo spettacolo con calma, magari alle 8.00, quando l’alba e le folle sono passate. Il Bromo sarà sempre lì, almeno fino alla prossima grande eruzione lui non si sposta.
La vegetazione che si fa largo nel Mare di Cenere. Foto Renzo Garrone