Bali. Il sud dell’isola è in pieno boom. Allora, proviamo a spostare lo sguardo dai soliti turisti, e dalle attrazioni del posto, ai lavoratori del turismo. Cioè, dai fruitori del prodotto a coloro che rendono possibile questo successo.

Incontro Kadek all’aeroporto Ngurah Rai, piazzato strategicamente tra Kuta e Jimbaran. Lui, 40 anni, fa il tassista per una piccola compagnia privata. Moglie e tre figli, due in età scolare e il terzo piccolissimo, Kadek viene dalla provincia di Karangasem, nel nord est di Bali. Si è spostato a vivere a Denpasar con la famiglia per questioni di opportunità: semplicemente lassù non c’è lavoro, spiega, o sarebbe pagato molto peggio. Nel capoluogo Denpasar, città in forte espansione demografica, affitta una stanza con cucinino annesso e una piccola toilette, e dentro ci abitano tutti e 5 assieme - i bambini dormono nello stesso lettone dei genitori. Umile e gentile, come molti balinesi, persino timido, Kadek non ha studiato, ma a comunicare se la cava. Parla volentieri un pò di tutto (del suo lavoro, chiede del mio, si tocca l’argomento calcio, eccetera), nel suo inglese basico ma comprensibile, imparato interagendo coi visitatori. Kadek è un buon testimonial dell’immigrazione interna balinese e dei suoi disagi. A Ubud o a Seminyak la mia stanza d’albergo costa 400.000 rupie a notte, ossia 24 euro. Kadek per la sua ne spende 700.000 (42 euro), ma al mese.

Altra storia quella di Made, 25 anni, cameriera al Cendana Resort a Seminyak, a due passi dalla grande spiaggia oceanica.

 

Arrivo tardi da Jakarta, sono le 22.30 passate, entro in questo locale all’aperto, e ceno ai bordi di una delle deliziose piccole piscine, immerse nel verde tra statue altari e fiori, che a Bali piazzano regolarmente in mezzo ad onnipresenti giardini. Fuori dal Cendana passano legioni di turisti di ogni genere, è venerdi sera: anglosassoni ubriachi, famiglie cinesi, coppie di indiani, giovani e meno giovani, tanti diretti verso un paio di (orribili) discoteche che impazzano lì sulla main street, nella notte. Riparo quindi in questo giardino, sufficientemente lontano dalla musica del venerdi sera, purtroppo ormai demenziale quasi dappertutto nel mondo. Non riesco a evitare un gruppo folto di giovani olandesi che festeggia lì dappresso il compleanno di una delle loro ragazze, ma insomma a parte qualche schiamazzo questi non mi disturbano. Immerso nel fogliame a una ventina di metri, poichè non ci sono zanzare (siamo a Bali d‘estate, del resto, si sta bene), la piacevolezza del giardino cancella l’impatto. E parlo con Made.

La spiaggia oceanica di Seminyak, nel sud di Bali. Una delle "success stories" dello sviluppo turistico dell'isola. Foto Renzo Garrone, 2018 

Lei viene da una famiglia povera, contadini della regione di Buleleng. Arriva cioè dall’entroterra dell’isola, dall‘area a ridosso della costa nord. Anni fa colse un’opportunità, spostandosi ) a lavorare a Sanur (che fu la prima tra le resort towns balinesi) come ragazza delle pulizie. Lavorava part-time per una famiglia locale, secondo un accordo per il quale non veniva pagata ma poteva dormire lì con loro. Made poi si è data da fare, mentre stava a Sanur ha studiato hotel management, specializzazione cameriera (in una piccola facoltà che, spiega con dovizia di particolari, esiste da poco). Poi però sul posto lavoro non ce n’era, alla fine lo ha trovato qui a Seminyak, e le tocca dunque spostarsi tutti i giorni. Una ventina di km ad andare ed altrettanti a tornare. Cosa che lei fa alla grande, come tutti, in motorino. Sono le 23.00, lei sta friggendo, non la trattengo oltre. Altro che chiacchierare ancora coi suoi guests, è finalmente l’ora di smontare…

La mattina dopo faccio colazione in un baretto carino, semplice, dipinto a colori vivaci. Non e‘ un luogo pretenzioso come ce ne sono troppi. Questo si trova in un viottolo, appena a ridosso della via principale di Seminyak, piena di traffico più o meno come la sera prima. Per fortuna sfuggire al frastuono del traffico è relativamente semplice nelle vie strette di Bali: basta infilare una stradina laterale e spingersi verso l’interno, qualcosa di accettabile si trova sempre. Stavolta vengo attratto da alcune trovate architettoniche minimal, la cifra stilistica di tanta Indonesia moderna. Il posto si chiama Warung Kecil, due parole che assieme significano davvero baretto.

Dopo aver ordinato mi guardo in giro, osservo l‘andirivieni. A Seminyak siamo alla monocoltura turistica totale. In giro si vedono solo vacanzieri, i locali sono esclusivamente quelli che con loro lavorano. Gli esercizi: bar, ristoranti, negozi di abbigliamento, di arredamento, di souvenir, centri di massaggio, gallerie d‘arte. (Non c’è neppure più una libreria, per dire. Ma anche gli alimenti si vendono solo al minimarket. I giornali di carta in Indonesia e in Thailandia, i due posti dove ho viaggiato nell’ultimo mese, sono ormai quasi estinti).

Nel baretto la fauna è assortita, ma c’è poca gente. Un gay occidentale maturo con un giovane indonesiano. Un‘algida tedesca single attaccata al suo smartphone. Un’altra ragazza indonesiana, frequentatrice abituale, che è probabile lavori qui vicino: arriva, si siede, chiede „il solito“, e si ributta sul suo telefonino.

Il signore che ha messo su questo Warung, mi spiega un cameriere fin troppo affabile con la faccia quadrata, abita proprio nello stabile a fianco: il proprietario è del posto, insomma. Mi sa che è l’unico, però. Perchè il personale proviene tutto dai villaggi delle province rurali del nord di Bali. Le solite: Karangasem, Buleleng. Anche qui sarebbero troppo lontani per fare avanti e indietro in giornata, così gli immigrati si associano, affittano una stanza e la condividono. Facile si ritrovino tra gente che arriva dalla stessa zona.   

Batubulan, Bali, dove la Badung Regency comincia a farsi collina. La specialità artigianale del luogo sono le sculture in pietra. Foro Renzo Garrone, 2018

Ma si viene a Bali per lavorare o studiare non solo dalle zone depresse dell’isola. Bali è un magnete per tutta l’Indonesia. Nel pomeriggio vado a un appuntamento a Denpasar, e prendo un altro taxi. Il tassista (della Bluebird, la più affidabile tra le compagnie indonesiane) è di Lombok, ma vive qui con la famiglia, ossia la moglie e due bambine. I genitori sono rimasti a Lombok dove, ebbene sì, hanno appena subito il terremoto.

E‘ una domenica pomeriggio ed incontro Kadek e Ngurah, che vivono insieme (questa Kadek è una lei, non la stessa persona del tassista di prima). Hanno un bimbo di tre anni e un altro in arrivo. Intervisto entrambi a casa loro a Denpasar, tramite un amico. Dei due, solo lei parla inglese. Lui, Ngurah, non si è mai preso la briga di impararlo. La mattina, comunque, lavora in banca.

Kadek invece fa l’agente di viaggio a Kuta, la grande Rimini balinese. E’incinta ed anche piuttosto avanti ma, nonostante il pancione, continua a lavorare duro. Dovrebbe partorire fra tre mesi, dice.

Casa loro è in realtà un eufemismo. Stanno gratis in una delle stanze, questa è l’espressione che usa lei, dello stabile a più appartamenti, in centro a Denpasar, che il marito gestisce. Un luogo cui si appoggiano dipendenti di aziende indonesiane in affari a Bali, obbligati a restare nell’isola per periodi più o meno lunghi. Una specie di residence dove Ngurah (come secondo lavoro) si occupa di manutenzione e servizi vari.

Nata a Banyuatis nella Buleleng Regency, un paese che sembra uscito dalla saga di Asterix ma che esiste davvero nel nord di Bali, anche Kadek qualche anno fa è venuta a studiare a Denpasar approfittando di una zia, cioè abitando in casa sua. Lo zio poteva contare su un lavoro statale, leggi garantito e sicuro. Kadek finisce i suoi studi superiori nel 2003. Poi sceglie l’università, turismo ed economia – mentre prende a lavorare part-time per mantenersi, come cameriera e domestica. L’università dura 5 anni, si laurea nel 2009.

Fuori di lì trova lavoro al Nusa Dua Beach Hotel, poi come operatrice di agenzia. Non aveva pianificato di stabilirsi in questa zona, era venuta solo per studiare. Ma è rimasta, appunto perchè, come mi hanno detto anche tutti gli altri intervistati, i salari nella Badung Regency sono i più alti di Bali, e il dinamismo dell’economia locale, qui a sud, garantisce sempre sbocchi lavorativi. In un modo o nell’altro.   

Infinity pool nei dintorni di Ubud, Bali. La raffinata cifra stilistica dell'isola passa per numerosissime resort simili a questa. Foto da Internet

Da queste parti il salario di ingresso di una cameriera in un grande hotel, fissato dal governo, ammonta a 2.700.000 rupie mensili (165 euro). A ciò sono da aggiungere altri due terzi della cifra in termini di service charge, che vanno in tasca al lavoratore (il service charge compare sul conto di ogni hotel e ristorante). Così si arriva a circa 8.000.000 di rupie al mese. Non malissimo per l‘Indonesia, si tratta di 480/500 euro. A Denpasar il salario minimo ammonta invece a solo a un quarto di tali cifre,  2.300.000 rupie mensili, in altre zone di Bali meno ancora. In aggiunta a tutto questo vanno conteggiati alcuni scatti di anzianità. Ma non ci sono pensioni.

Va detto che lo stesso salario lo prende un ragazzo del supermercato (i minimarket ad aria condizionata standard sono milioni, in Indonesia). Ma lui si ferma al salario minimo, corroborato al limite da qualche anzianità. La natura del suo lavoro non implica il service charge che vige nel turismo, e che fa la differenza.

Anche Kadek, in agenzia, non percepisce alcun benefit oltre il salario. Sono finiti i bei tempi quando lavorando come guida tiravo su anche 500.000-700.000 rupie al giorno, sospira lei. Oggi nel turismo impera la cannibalizzazione, un eccesso di competizione (anche il sociologo Wahyu Nugroho dell’Università Udhayana insisterà su questo punto). Parliamo comunque solo del formal sector, ossia dell’economia ufficiale, registrata. Cioè di hotel, ristoranti, agenzie che si sono messi in regola. Ma una parte consistente del mercato del lavoro resta sommerso, nero, informale.

La mattina seguente incontro Sherly, receptionist presso l’hotel dove mi fermo nella mia indagine. Sherly viene dall’est della grande isola del Borneo – che gli indonesiani chiamano Kalimantan. Intelligenza vivace e buon inglese, lei a 18 anni si sposta da Balipapan, capoluogo dell’oriente isolano, e va a studiare ciò che una volta da noi si chiamava segretaria d’azienda a Bandung, Giava. Conseguito il diploma cambia ancora, lavora prima a Jogya ma infine approda qui a Bali dove, nelle grandi resorts-divertimentificio, si registra il maggior dinamismo dell’economia indonesiana.

Mietitura del riso, settembre, Kemenuh, Bali. Alcune amministrazioni locali offrono sussidi ai contadini affinchè non abbandonino le risaie alla speculazioni immobiliare. Centinaia di migliaia di persone, giovani e vecchi, da queste campagne migrano comunque a  sud, per lavorare soprattutto nel turismo. Foto Renzo Garrone, 2018

Zona dinamica e ricca, ebbene sì, ma dopo la capitale Jakarta e dopo proprio Balipapan nel Borneo, beninteso. Questo Sherly ci tiene a dirlo, visto che arriva da lì: Balipapan è un centro in pieno boom per via dell’estrazione degli idrocarburi. Sia a Jakarta che a Balipapan i salari minimi, visto il dinamismo locale, sono molto più alti che nel resto del paese.

Quando parla, la città natale, Sherly si infervora. La descrive pulita, ordinata, traffico sotto controllo, e naturalmente sulla cresta dell’onda, nella sua qualità di oil city. Una booming town, spiega la ragazza. Fra l’altro l‘unica della zona con un buon aeroporto, che proprio per i fattori logistici favorevoli calamita notevoli flussi di business travellers diretti anche altrove nel Borneo.

Sherly lavora all’Ibis. In questo caso (il mio caso) si tratta della versione budget, ma il posto appartiene pur sempre alla grande multinazionale francese Accor. E la cosa, aggiunge lei, le è già servita in passato come utile ascensore sociale - quando Sherly ha fatto il salto da Jogya a qui, trovando lavoro in un‘altra proprietà dell’azienda. Complessivamente questa receptionist anche arriva a guadagnare sulle 8.000.000 rupie al mese, come Kadek l’agente di viaggio incinta. Tra salario minimo e service charge, sono 500 euro.