Ancora sullo scandalo dei lavoratori migranti e in generale dei milioni di poveri che, in India, hanno perso il lavoro da un giorno all’altro quando, il 24 marzo scorso, il premier Narendra Modi ha decretato, con un preavviso di sole 4 ore, il lockdown dell’intero paese. Per fronteggiare, naturalmente, il coronavirus. Per quanto riguarda i lavoratori migranti si tratta, secondo le stime, di 45 milioni di persone più le loro famiglie. Persone per le quali il problema principale, rimasti senza occupazione, è la povertà.
Sono coloro che in India garantiscono tutti i lavori più umili, ma necessari: dal muratore al bracciante agricolo, venditori di strada, spaccapietre, manovali nei mattonifici del boom della nuova India, centinaia di categorie dove la forza-lavoro campa, in massima parte, alla giornata. Completamente legate all’economia informale, prive di contratti, queste persone con il lockdown sono state licenziate in tronco.
Lavoratori "informali" in fila in una stazione ferroviaria di Mumbai cercano di tornare a casa dopo il lockdown del 24 marzo. Foto Al Jazeera
Originarie spesso di un altro stato, proprio mentre chiudevano le ferrovie e si proibiva il funzionamento anche di bus e auto private, sono partite alla disperata, con famiglie e fagotti, incamminandosi verso i villaggi originari, l’unico luogo da dove – se non muoiono prima lungo le strade di quest’esodo penoso – potrebbero non essere respinte.
Poi ci sono i senzatetto, i disabili senza nessuno al mondo, le vedove tuttora marginalizzate dalla superstizione, i tanti che ancora, anche nell’India moderna di oggi, vivono per la strada. Gente che, nel linguaggio del mondo dello sviluppo, appartiene al gruppo degli hand to mouth, come vengono definiti questi particolari indigenti nel subcontinente indiano, a significare il gesto del portare la mano alla bocca. Ossia: un pugno di riso quale obiettivo principale della giornata. “La ministra delle finanze Nirmala Sithramam”, scrive The Indian Express nella traduzione di Internazionale, “ha promesso per i senzatetto 5 kg in più di grano o riso e 1 kg di legumi a famiglia. Inoltre 1000 rupie (12 euro) per gli anziani, i disabili le vedove”. Esiste inoltre qualche altro programma di emergenza per gli ultimi degli ultimi.
Senza tetto in coda per un piatto di riso a Delhi. Foto Getty Images
Le cifre, nell’universo caleidoscopico dell’India, si accavallano e confondono. The Indian Express parla di centinaia di milioni di lavoratori informali, accorpando senzatetto e lavoratori del sommerso (per ironia della sorte, in India tutti ben visibili, altro che sommersi!). Secondo la Reuters, l’India di Modi “ha varato un relief package con cibo gratis per circa 800 milioni di beneficiari, ma economisti e attivisti lamentano come solo alcuni di loro siano registrati con il food welfare scheme federale, o siano in possesso dei documenti per accedere a questi benefits”. Il risultato sono migliaia di persone in coda, riferiva ancora il cronista del The Indian Express. Un disastro, un fallimento.
Mumbai, l'abituale folla quotidiana per le strade del centro prima del lockdown. Foto Renzo Garrone
Mentre succede tutto questo, crescono le preoccupazioni per le possibili esplosioni del contagio. Finora non è accaduto, i numeri restano relativamente contenuti (8000 contagiati, i morti non sono neanche 300 contro i quasi 20.000 in Italia), ma le condizioni materiali dei poveri sono terribili. In primis, notorie restano in India le situazioni che implicano sovraffollamento. In questo paese sussistono 90 milioni di unità abitative di una stanza sola (!) - ha ricordato su Al Jazeera la giornalista Barkha Dutt. Che tipo di distanziamento sociale può essere ideato per tutti costoro? Basta dare un’occhiata alle foto di questo articolo per rendersi conto del problema.
Nucleo abitativo di una stanza sola nello slum di Banganga, a ridosso del centro di Mumbai. Foto Renzo Garrone
In India, ha scritto Arundhati Roy sul Financial Times, “le strade principali adesso saranno pure vuote, ma i poveri sono asserragliati nelle anguste abitazioni delle baraccopoli”.
Inoltre, si ha a che fare con tanta gente fisicamente debilitata, quindi più esposta al virus, mentre in India meno del 2% del Prodotto Nazionale Lordo viene speso in sanità. Ancora Internazionale dà alcune cifre, citando la rivista The Caravan: ‘La sanità privata è un boom in India”, riporta la rivista (chi scrive ha avuto occasione di sperimentarlo varie volte, da espatriato, sul posto: gli ospedali privati rappresentano l’unica opzione decente quando stai male), “mentre quella pubblica è stata trascurata per diverse decadi. Cosicché l’India non è in grado di affrontare la pandemia della COVID-19. (…) I medici sono uno ogni 1000 abitanti e si contano 2,3 letti in terapia intensiva ogni 100.000 persone”.
Prima del lockdown. Un treno locale del mattino tra Agra e Delhi, con l'abituale concentrazione di folla. Foto Renzo Garrone