L’India possiede la forza-lavoro più numerosa al mondo, che deve però supportare un numero ancora maggiore di persone (tra ragazzini e vecchi). Creare occupazione ogni giorno, anche in tempi normali, è un’impresa da far tremare le vene dei polsi. 

Muratori del West Bengal in un cantiere a Kochi, Kerala. Foto Renzo Garrone

Parte della popolazione più povera si sposta nel grande paese alla ricerca di lavoro, di solito con contratti (verbali) su base stagionale, che tipicamente durano alcuni mesi. Durante i quali ci si accampa in tende (che spesso nelle città diventano slums) vicino ai luoghi di lavoro.

Il tasso di dipendenza di una popolazione, spiegano i demografi, è il rapporto numerico tra le persone che non possono guadagnarsi da vivere in modo indipendente (i “dipendenti”), e coloro sulle cui spalle grava il peso della sopravvivenza per tutti (la forza-lavoro produttiva). "Dipendenti" sono chi ha meno di 15 anni e chi ne ha più di 65, produttivi tutti gli altri. In India questo tasso è del 54.1 %, cioè bambini e vecchi costituiscono il 54.1%, più della metà del totale. Ciò implica una pressione piuttosto alta sulla componente produttiva della società.

Shimla, Himachal Pradesh. Famiglie di braccianti provenienti dalle pianure impegnate in un cantiere. Foto Renzo Garrone

“Abbiamo 45 milioni di lavoratori migranti, di migrant workers” – ha detto ad Al Jazeera il 1 aprile Barkha Dutt, giornalista televisiva indiana ed editorialista per la carta stampata. “Per loro il problema principale non è esattamente il coronavirus, il problema principale è la povertà”.

Vengono dal Bihar, dallo Chattisgarh, dal Jaharkand, dal West Bengal: operai manutentori delle camionali d'altura in Ladakh. Foto Renzo Garrone

Si tratta di quelle persone che garantiscono tutti i lavori più umili, dal muratore al bracciante agricolo, originarie spesso di un altro stato, distante da casa anche migliaia di km; gente che guadagna dalle 300 alle 500 rupie al giorno (dai 3,5 euro a 6 euro); gente priva di contratti e di un posto decente dove vivere nel luogo dove lavora/lavorava; e che ciononostante è stata perlopiù licenziata in tronco.

In cantiere a Kochi, Kerala. Foto Renzo Garrone

Quando? Perchè? Il governo Modi il 24 marzo ha deciso (con un preavviso di sole 4 ore!) drastiche misure di distanziamento sociale e un lockdown integrale, per tutta l’India (fatti salvi i servizi essenziali). La chiusura, annunciata per una durata di 21 giorni, riguarda il paese intero. Lo scopo, ovviamente, arginare il contagio da coronavirus.

Ragazza manovale in un cantiere a Diu, Gujarat. Foto Renzo Garrone

Le immagini a corredo di questo pezzo sono state scattate in località indiane diverse, da nord a sud, da est a ovest. Un collage che evidenzia come povertà e migrazioni siano fattori trasversali all’intero paese.

Abitazioni di muratori migranti a Shimla, Himachal Pradesh. Foto Renzo Garrone

La situazione dei lavoratori migranti si è fatta poi particolarmente grave a inizio aprile, quando questi stessi migrant workers hanno cercato di tornare a casa. Rimando al bel servizio di Al Jazeera del 2 aprile che mi ha fatto avere un’amica da New York:

https://www.aljazeera.com/programmes/insidestory/2020/04/challenges-battling-coronavirus-india-200401183049774.html