Un viaggio nelle backwaters
Vaste lagune costiere a ridosso del mare, integrate da un intrico di canali, naturali e creati dall’uomo, accompagnano longitudinalmente l’estensione del Kerala. Sono le cosiddette backwaters. Se la loro porzione più agevole da visitare, spesso tuttora di selvaggia bellezza, è quella tra Quilon e Cochin via Alleppey e Kottayam, anche altrove lungo la costa si trovano canali, laghi e lagune. Rispetto alla magia del luogo, fanno eccezione alcune aree ormai battute da un turismo di massa che qui è soprattutto legato alle houseboats, e al loro utilizzo troppo concentrato, di cui parlo dopo.
Ma scegliendo una piccola barca a remi si ha l’opportunità di entrare silenziosamente nel cuore del tessuto vitale che i Keralesi si sono ritagliati tra terra e mare.
Paesaggi lagunari a perdita d’occhio e tanto silenzio: giacinti d’acqua, palme da cocco, abitazioni rurali, gondole per le persone, chiatte per le merci e ponticelli tra fazzoletti di terraferma strappati alla palude con un lavoro prevalentemente manuale, secolare e paziente.
Si spala fango dal fondo, si semina qualche arbusto o una palma nel luogo prescelto, si introduce un po’ di terra di riporto, si concima con letame di mucca: è la genesi di questi scenari spesso incantati.
Nei piccoli poderi lungo gli argini delle backwaters, molti allevano papere. Foto Renzo Garrone
Ed ecco gli arbusti mettono radici e la laguna lentamente, pochi metri quadri alla volta, si converte in spazio abitabile, territorio, piccolo podere per la sopravvivenza. Negli anni tutto questo, con la crescita della vegetazione si definisce e consolida, divenendo efficace supporto per un’economia di autosufficienza alimentare. La dieta base dei locali è fatta di pesce riso tapioca banane cocco, un pò di yogurt per chi riesce ad allevare una mucca su tali esigue estensioni di terreno. E naturalmente di spezie, che in Kerala non mancano mai.
L'intrico di vegetazione lungo i piccoli canali. Sullo sfondo una rete da pesca di un altro verde ancora. Foto Renzo Garrone
Al resto provvede al barca di linea, praticamente l’unico motore che raggiunga tanti di questi villaggi, anche se in alcuni oggi si arriva anche in auto e in moto. Inoltre, tra canali e villaggi, c’è il trasporto a remi.
Ovunque la magia silente dell’acqua e cromatismi straordinari abbracciano in una sinfonia le mille tonalità del verde, creando una atmosfera scandita dai ritmi placidi di chi vive con la sola tecnologia semplice. E’ stato così per decenni, anche se oggi qualche volta questa magia s’è persa, mentre l’emigrazione falcidiava gli stili di vita autoctoni.
Andandosene in giro al ritmo lento dei remi, ma anche alle velocità non eccelse dell’imbarcazione di linea, il viaggiatore scopre comunque nella vegetazione lussureggiante gli accadimenti quotidiani, tastando direttamente il polso allo stile di vita locale: una donna che lava i panni nel canale, uno stuolo di papere che si stacca da riva, i bambini nudi che fanno il bagno, le palme ardite che oscillano alte su tutto. Lungo gli argini dei canali camminano ogni tanto i passanti di questo universo in egual misura rurale e acquatico, dove gli stanziamenti sono sepolti nel fogliame, e dove la densità antropica rimane piuttosto bassa. Verso l’ora di pranzo passeranno sciamando i bambini che tornano da scuola, traghettati all’occorrenza da una sponda all’altra su imbarcazioni scure e sottili.
L'argine lungo i canali, a Kumarakom. Foto Renzo Garrone
L’idillio del paesaggio e della quiete ha le sue controindicazioni, naturalmente. Soprattutto durante il monsone vi sono inondazioni che riguardano i campi ma non risparmiano le abitazioni, spesso con gravi disagi. Molti villaggi si sono dotati di pompe idrovore che con la fine delle piogge vengono messe in funzione, per prosciugare gli appezzamenti e prepararli alle semine successive. Vi sono anche problemi di igiene idrica con le escrezioni umane, animali, e i detersivi del bucato che terminano direttamente nei canali.
Il bucato lungo i canali. Foto Renzo Garrone
Varie municipalità provvedono a forniture di acqua potabile con botti ed autobotti ovunque non ci sia un pozzo tradizionale (quasi tutti i poderi ne ospitano uno ma l’acqua non sarebbe sicura da bere) o una pompa manuale con pozzo artesiano (installata solitamente dallo stato).
Il turismo è importante nelle backwaters, dove è stato spinto intensamente da un trentennio dall’ente del turismo e da stuoli di imprenditori. Ma va fatto un importantissimo distinguo tra il turismo perlopiù inquinante e massificato delle houseboats, che rimangono sui grandi canali, affollandoli insopportabilmente (è lo scenario soprattutto ad Alleppey). E quello dell’abitare sula terraferma, magari in guest houses di tipo familiare, rinunciando a crociere insulse visto che le panciute e accessoriatissime houseboats rimangono sui grandi canali assieme a stuoli di altre barche piccole e grandi, inquinando con scarichi e rumori, e dissipando la magia del luogo che, come ho spiegato, non può che essere cercata altrove.
Le piccole barche a remi ideali per negoziare i canali interni delle backwaters. Foto Renzo Garrone
La scelta da compiere, e che però tra i turisti sono in pochissimi a compiere, è quella del farsi trasportare attraverso la vastissima rete di piccoli canali nelle affusolate barche a remi locali, praticamente delle gondole. Il problema è che l’offerta turistica che di queste ultime è scarsa, le opportunità su misura rare, non facili da trovare. Si tratta di fare amicizia con qualcuno del posto chiedendogli un servizio ad hoc: esattamente quello che fa l’organismo con cui io lavoro, ossia RAM Viaggi. Per godersi appieno la visita ed ovviare ad un impatto deteriore oltre che poco godibile.
Le grandi houseboats, moltiplicatesi a beneficio del turismo nelle backwaters del Kerala. Foto Renzo Garrone
Sull’impatto delle houseboats, le cui crociere sono pubblicizzate e vendute dai grandi tour operators, i reports di denuncia si sprecano. Per chi legga l’inglese, rimando al minuzioso lavoro di denuncia e difesa dei diritti dell’ambiente e dei locali svolto da un trentennio da una ong indiana di nome Equations (che per inciso fu decisiva fin da allora nella mia formazione sulla cosiddetta Critica del turismo): http://www.equitabletourism.org/