Il Manga Museum di Kyoto costituisce una visita istruttiva, anche per chi come me non ha mai masticato nulla di quest’arte pop. Situato in centro a Kyoto, zeppo di albi nei suoi scaffali di legno, il museo fa risalire addirittura la genesi del fenomeno e della sua figurativa all’Heian Period, fine 12° secolo.

Quindi, medio periodo Edo, con lo sviluppo della stampa su carta ottenuta con blocchi di legno intagliati, approssimativamente attorno al 1720, nasce uno stile peculiare, che chiameranno Giga (letteralmente, funny drawings). Si pubblicano cose piene di satira sulla vita, la politica e la società.

Ed è da Kyoto che i primi editori diffondono queste forme di comunicazione in tutto il paese. Successivamente e fino al 1868, nel tardo periodo Edo, saranno alcuni stranieri residenti in Giappone a pubblicare magazine caricaturali che utilizzano queste forme espressive.

Fino al 1912 si tratta di materiale solo per adulti, da allora in poi ci si allarga ai bambini. Poi compaiono i Joyo, che poi diventeranno Shōjo, una categoria di manga caratterizzati da una espressività indirizzata principalmente a un pubblico femminile, che va dall'età scolare fino alla maggiore età.

Saltando velocemente attraverso le epoche, i manga attraversano la Seconda Guerra Mondiale subendo censure e restrizioni, ma ricompaiono con forza negli anni ’90 del novecento. Tra il 1989 e il 1990 vengono sostanzialmente sdoganati ed approdano al contesto mainstream: dallo stadio di subcultura, alla cui stregua venivano precedentemente considerati, si tramutano in espressione culturale ufficiale.

Nel 1990 ha luogo la prima mostra in un museo, dedicata a Tezuka Osamu, sorta di papà dello "story manga". Nel 1996 apre il museo che sto visitando adesso, a Kyoto, sulla Karasuma Oike. One Piece di Oda Eichiro, che esce nel 1997, raggiungerà nel 2013 i 300 milioni di copie di diffusione.

 

La tipologia del lettore si definisce per età e per genere, come del resto accade ovunque, quasi sempre. Ma tra le tante forme dei manga ce n’è per tutti, ed è una delle cose che li rende unici. Ormai si può dire che esistano più manga per adulti che per bambini, in Giappone - questo si sostiene al museo di Kyoto.

Ed è certamente vero: lo si legge non solo nelle didascalie sin queste sale, lo vedi anche tutti i giorni sui treni metropolitani, che brulicano di adulti incollati al proprio smartphone. E per il viaggiatore diventa persino rincuorante sbirciare nel piccolo visore del vicino e trovare del bianco a nero a fumetti piuttosto che la schermata di qualche social, infarcita di pubblicità.   

I manga rappresentano oggi una forma di entertainment popolare che ha tracimato in varie direzioni oltre il suo recinto originario. La produzione è organizzata per teams, squadre che comprendono l’artista, i suoi assistenti, l’editore, laddove quest’ultimo deve stare attentissimo al marketing, la spinta propulsiva essenziale del settore dagli anni ’60 in poi, quando l’utilizzo dei manga si è allargato al merchandising.

 

Caratterizzano i manga vari elementi principali: tra tutti, io profano metterei l’utilizzo di stilemi perfettamente riconoscibili, ma anche la suddivisione delle storie per tavole, come nei comics più evoluti, e i mampu, simboli che raffigurano immediatamente l’emozione espressa dal protagonista della tavola stessa. Questi mampu vengono considerati i precursori degli emoticon (emoji) che popolano i nostri profili whatsapp ed i nostri scambi via mail.

Negli anni ’80 il legame con l’anime, l’animazione, e con la game industry, i videogiochi, diventa decisivo. Allo stesso tempo, non è che l’autore si arricchisca.  Deve infatti dividere i profitti col suo team e con l’editore, in un circolo vizioso in cui, più il fenomeno si espande, più lui spesso ci rimette: è stata coniata per questa situazione l’espressione serialization pauper.

 

Tra il 2014 e il 2018 la diffusione digitale raggiunge la parità con quella cartacea. Perchè ormai il fenomeno dei manga va bene al di là della mera editoria, interessa invece anche la televisione, il cinema, la musica, i videogiochi, i giocattoli, il merchandising, la moda. Lavorano in questa articolata industria, in Giappone, 500.000 persone.

Dentro il museo del manga ci si può far fare anche il ritratto in stile, ovviamente, basta prenotarsi una mezzora prima, i prezzi sono abbordabili. Ma i disegnatori lo eseguono, se vuoi, anche a partire da una foto. Purché sia chiara, netta e frontale.  

In ultimo, tra le migliaia di albi del museo, c’è una sezione dedicata ai manga esteri. L’Italia non viene considerato un territorio di particolare diffusione, ma abbiamo avuto anche noi – soprattutto i nostri bambini – un periodo in fissa coi vari Dragon Ball, Power Rangers, eccetera. E tra i comics assimilati ai manga, nella collezione del museo di Kyoto, spunta Diabolik!