L’immagine prevalente dell’Oman è quella di un posto bellissimo fatto di natura, di mare pulito, pescoso e balneabile, di deserti emozionanti ed oasi rinfrancanti. Di un paese disseminato di fortezze, poderose ed evocative. Effettivamente, trattasi di un paese gradevole ed interessante da visitare – non è un luogo comune. Ma se l'immagine corrisponde al vero, essa è però parziale.
Come sempre ci sono cose di cui nessuno parla. Il tasso di libertà della stampa locale appare accettabile, anche secondo un certo esigente standard europeo, solo per quanto riguarda l'estero - di cui sui giornali si parla in modo articolato. Le notizie locali invece soffrono di più. Di rado sono affrontate in modo critico. Per fortuna si discute, in Oman, di come le cose sul posto dovrebbero migliorare, e lo si fa dando anche voce ai singoli che vorrebbero esserne parte attiva. Ma non vi è traccia di quella articolazione, o addirittura dello scontro di idee, che campeggia sui giornali dell’occidente.
L’abbandono dei villaggi è uno di questi argomenti. Non campeggia su siti e giornali, non ne parla la gente. Noto, da outsider, come il fenomeno accomuni l’eccezione Oman a tanti altri paesi del mondo. Ma esso non rappresenta, probabilmente, un tema interessante per i più. Nelle mie esplorazioni, viceversa, amo partire dalle aree rurali. Che in ogni caso mai tralascio, per avere un quadro completo. Non credo infatti che il centro conti più delle periferie. Per leggere quello che succede bisogna partire da ciò che è stato.
Nel processo dell‘abbandono dei villaggi, le fasi dello sviluppo finiscono per assomigliarsi. Quel che avviene qui in Oman, ovvio, è già accaduto in occidente. Ma per guardare giusto oltreconfine, è accaduto anche in Iran, al di là dello stretto di Hormuz che separa le due nazioni.
L’Iran, proprio dirimpetto, e così diverso. Qui furono le modernizzazioni dello scià Mohammed Reza negli anni '60 ad invitare la gente in città. Quarant’anni fa. In Italia, sempre nei ‘60, accadde pressappoco lo stesso durante il nostro miracolo economico, ma anche da noi sono passati almeno 40 anni. In Oman tutto ha cominciato a cambiare invece da una decina d’anni soltanto. L'inizio della transizione è recentissimo.
Forse l’abbandono di villaggi e centri storici, in Oman, fa impressione per lo sfacelo che implica. Perchè si smantella qualcosa di ricco e valido. Si buttano i materiali nobili in cui questi villaggi furono costruiti, che sono il legno di palma, i mattoni essiccati e la creta più semplice, come nelle antiche casbah del Marocco oggi in rovina (ma l’Oman è assai meno noto). Oppure fa impressione perché non si tratta di luoghi remoti. Spesso infatti viene abbandonata la parte vecchia dei paesi (mentre quelli nuovi sorgono non distante, o addirittura dappresso), con le case di fango che vanno in rovina sotto gli occhi di tutti. Esempi eclatanti sono Al Hamra o Birkit El Mouz, piccoli ma gloriosi centri dell'Oman interno, nella zona di Niwza.
Al Hamra, Oman del nord. Case del centro storico, quasi interamente abbandonato. Foto Renzo Garrone
In ogni caso, oggetto dell'abbandono non sono mica semplici capanne, ma case che furono dignitose, dove l’argilla si accompagna ai legnami locali. Dove tronchi massicci (sempre la palma da dattero) fanno le veci delle travi di castagno dei nostri casolari contadini: la palma si ricava da queste oasi generose, dove scorre la linfa del paese, senza le quali non esisterebbe nulla oltre che sabbia: il deserto della penisola arabica, tutto attorno, è spietato. L'ossatura di soffitti e pavimenti si ottiene con graticci di listelli di rami tagliati in sezione, anch'essi di palma ovviamente.
Ma a Misfat El Abryieen, per esempio, si abbandonano anche bei casolari di pietra come in certe nostre montagne dell’Umbria, delle Marche, della Toscana sopra i 600 metri. Costruzioni che hanno dato vita ad agglomerati di notevole bellezza, che sono state per questo paragonate alle case dell’architettura yemenita: slanciate verso l’alto, infissi color pastello, portali di legno massiccio decorati con borchie di metallo sbalzato. Le mappe degli antichi paesi sono scandite da viottoli in pietra. Ad Al Hamrah, a Birkit Al Mouz, le viuzze e tanti edifici sono intagliati direttamente nella falesia. Roba nobile, insomma. Abbandonarla equivale a mandare in malora tanta sapienza antica dei territori.
Eppure in Oman i centri storici non si restaurano, vanno in rovina. Muri crollati, pavimenti sfondati, porte e finestre divelte, stanze invase dai rifiuti e dalle erbacce. I proprietari si sono spesso soltanto spostati nel paese nuovo, a qualche km di distanza. Sembra non abbiano ben chiaro cosa fare con ciò da cui pure provengono, non sappiano come trattare il proprio passato prossimo. Rarissime sono le ristrutturazioni. L’ho visto succedere appunto ad Al Hamrah, a Birkit Al Mouz, a Misfat. Forse è troppo presto perchè se ne accorgano, siamo ancora in pieno miracolo economico.
Birkit Al Mouz, Oman del nord. Grumo di case del centro storico, in posizione panoramicissima. Anche a Birkit Al Mouz, non distante da Nizwa, la porzione alta del paese è stata interamente abbandonata. Foto Renzo Garrone
Per questo il recupero della Misfat Old House nel paese omonimo, trasformata in una pensione rurale, equivale a un gesto lungimirante. Significa utilizzare il turismo internazionale, un fattore economico oggi trainante, per rivitalizzare i paesi e frenarne abbandono e degrado. Di tante Old Houses come questa, avrebbe bisogno l’Oman. Ma Misfat resta una goccia nel mare (di sabbia).