Legno e mattoni, templi dai tetti a pagoda, viottoli, intarsi, statue in pietra di dei per strada, grande atmosfera: Patan, satellite della più famosa Kathmandu, introduce bene il vero Nepal. Rimanendo al centro storico, ebbene più storico di così non si può: ogni slargo e viuzza di Patan è disseminata di altari e pietre votive. Sul posto vengono fabbricate le più belle statue buddhiste del mondo, in rame e bagni dorati.
Va detto che la piazza di Kumbeshwor parrebbe una delle più malandate dell’ex regno himalayano, oggi Repubblica federale guidata da un governo comunista. Eppure qui il tempio omonimo era uno dei pochi del paese a vantare quattro tetti spioventi, tratto architettonico straordinario. Il terremoto dell'aprile 2015 lo ha decapitato, ma lo stanno ricostruendo (con aiuti giapponesi). Nel frattempo, tutt'attorno spuntano cantieri privati, nonostante le difficoltà. L'edilizia civile della ricostruzione sta dando una grossa mano alla ripresa del paese.
Pare siano stati proprio i nepalesi ad inventare le pagode, con l’architetto Arniko che le portò anche in Cina (oggi la Arniko Rajmarg è l'arteria che da Kathmandu conduce in Tibet). Questo però è il passato, purtroppo. Pagode o no, la favola della qualità della vita è evaporata. Kathmandu è oggi un agglomerato di edilizia abusiva ed approssimativa, dove imperano traffico e degrado. Non che il fascino del luogo sia del tutto sparito, anzi: ma bisogna impegnarsi per ritrovare l’impronta dei luminosi tempi che furono, e seguirne le tracce, di solito sotto inconfondibili sembianze architettoniche. Un tempo bellissima, e passata alla storia come un delicato acquerello di pagode e case di legno e mattoni, dalle finestre intagliate, donde si guardavano risaie di una fertilità leggendaria, Kathmandu con lo sviluppo e l’aumento demografico degli anni ‘80 e ‘90 ha prima smarrito l’equilibrio, poi definitivamente rotto gli argini. La guerra civile tra il 1996 e il 2006 ha peggiorato la situazione complessiva e bloccato le cose, accrescendo le migrazioni verso le aree urbane. Poi nel 2015 è arrivato il terremoto. Il degrado ha le sue attenuanti, insomma, ma resta il fatto che la città non ha potuto che evolversi nella disordinata megalopoli che è oggi.
Io vengo da queste parti dagli anni settanta. La mia storia è stata segnata da lunghi viaggi di formazione, soprattutto in India Nepal e Thailandia. Qui scoprii il cammino a piedi, il trekking degna macchina da meditazione, negli ottanta. E nei primi anni novanta, le realtà dell’artigianato nepalese federate nel coordinamento dell’equo locale, ACP, Mahaguthi, Kumbeshwor, Sana Hastakala, New Sadle. Che per anni hanno costituito per RAM, la mia organizzazione, il ruolo di partner commerciali e partner di viaggio.
Alla Kumbeshwor Technical School (KTS) le relazioni possiedono spessore umano. Da sempre. In Nepal per fortuna accade spesso. All’inizio ero solo un compratore di prodotti – la storia dice, il primo dall’Italia. RAM lavorava acquistando maglioni di lana, un pò ispidi ma funzionali, in un’epoca in cui commercialmente le cose giravano. Gradatamente, con KTS diventammo amici. Oggi l'organizzazione è molto cresciuta e i compratori per loro sono decine e decine; tra questi, le grandi “centrali” d’importazione del Fair Trade, da mezzo mondo.
KTS, una classe. Foto Renzo Garrone
Ebbene, spesso quando un’azienda cresce succede che i protagonisti non abbiano più tempo da dedicarti. Non è così per KTS, almeno con noi. Se arriva RAM – anche fossero 10 persone – qui ti invitano ancora a pranzo in famiglia, nella grande cucina al terzo piano con vista sul tempio, dove sono sempre in tanti, che sembra una casa contadina di un film di Pupi Avati, trasportata in Himalaya. Così accadde per noi fin da subito, a noi che dedicavamo infinite ore allo “sviluppo prodotti” con le loro artigiane. Quest’abitudine fu poi estesa ai gruppi piccoli e grandi che, nel quadro dei viaggi “responsabili” di RAM, da sempre portiamo a vedere “l’altra”valle di Kathmandu.
Ma cos’è KTS? Una scuola/centro di formazione/laboratorio artigianale, oltre che uno dei gruppi storici del Fair Trade internazionale. La scuola è partita nel 1983 con dei corsi di alfabetizzazione per adulti, cui nel 1984 si aggiunsero l’asilo e le elementari. E’ frequentata annualmente da 211 bambini (dati novembre 2018), che fino al recente passato erano della comunità dei Pode, i fuori-casta della zona, ma adesso appartengono alle famiglie dei nuovi poverissimi, quelle dei migranti economici che arrivano dalle montagne accampandosi come possono nella Valle di Kathmandu – sempre più affollata ogni giorno che passa. Vi sono inoltre 14 bambini in un orfanotrofio a pochi passi. La scuola offre gratuitamente due pasti al giorno: misura decisiva per far sì che le famiglie dei più poveri acconsentano a mandare i figli.
Kumbeshwor, Patan, Nepal. La Kumbeshwor Technical School in un giorno di festa. Foto Satyendra Khadgi
Dalla core area della scuola, KTS ha sviluppato un efficace e ramificatissimo programma di lavoro artigianale per le donne, imperniato sulla maglieria (lana, seta, cotone e fibre particolari) che raggiungeva grosso modo 2500 persone nel 2009, anno in cui al Fair Trade nepalese dedicammo un libro apposito (vedi link https://associazioneram.it/shop/ram/libri/libro-nepal-indagine-fairtrade-detail ), scese a 2200 (fra cui 20 disabili) nel novembre 2019.
Le produttrici, allora come oggi, erano quasi interamente donne e lavoravano in parte presso il centro vicino alla scuola, ma soprattutto a casa propria). Figure cardi-ne dell’intero programma erano e restano le Group Leaders, che guidano, villaggio per villaggio, quartiere per quartiere, le aggregazioni locali di artigiane, e tengono i contatti con la struttura centrale.
KTS, la unit della produzione dei tappeti. Foto Renzo Garrone
Alla KTS la famiglia Khadgi, che guida la scuola, è diventata uno degli esempi più riusciti del nostro “turismo d’incontro”. Relazioni umane vere, basate sulla continuità. Passano per il luogo di lavoro, attraversano i laboratori artigianali, si trasferiscono in un soggiorno che pare quello di un’Italia anni sessanta coi bambini e i nonni e gli zii intorno a un televisore in bianco e nero che spesso parla da solo in un angolo della stanza; e si concludono in cucina, attorno al grande tavolo, dove ce n’è sempre per tutti. Essere accolti a colazione, a pranzo o a cena - Geeta tra l’altro è cuoca sopraffina, con tanto di libro di ricette locali edite dalla stessa KTS - diventa una maniera di condividere. Quattro generazioni sotto lo stesso tetto di un edificio a tre piani, che si affaccia sulla mitica piazza. Kiran e Geeta, Karuna e i nipoti Satyendra e Sanita (quest'ultima si è sposata e trasferita in Australia, ma Satyendra oggi lavora col padre), e una legione di altri parenti, amici, collaboratori. Noi visitiamo la scuola, che sosteniamo con le Quote-Solidarietà dei viaggi RAM; offriamo lavoro alle artigiane con le commesse di artigianato “equo”; da qualche anno, spediamo anche in visita viaggiatori dei soggiorni RAM “in autonomia”, cioè per conto proprio, senza accompagnatore italiano.
KTS, il nido all'ora del sonnellino. Foto Renzo Garrone
Dove KTS diventa geniale è nell'aver dotato le produttrici che danno continuità al proprio impegno lavorativo, scegliendo di registrarsi con questa organizzazione, di polizze assicurative sanitarie (private) e di programmi di risparmio (dove il risparmio è individuale ma legato a un unico conto bancario di deposito, che è quello della scuola). Per finanziare questi programmi una piccola cifra dei salari viene automaticamente accantonata allo scopo. E la cosa funziona. Chi ha detto che persone poco abbienti che lavorano a domicilio, spesso in campagne remote, non possano accede-re a una certa protezione sociale e ad un'assistenza sanitaria decente? KTS ci ha pensato e l'ha fatto, dimostrando che è possibile. La mia opinione è che si tratti di vero Fair Trade, cioè di quello dove accanto alle commesse di lavoro compaiono anche significativi programmi sociali.