(terza parte)
Verso Maumere
Da Larantuka parto per Maumere. Il percorso, mi dicono, dura poco più di tre ore. E’ il mio battesimo sulla Trans-Flores Highway, qualcosa come 700 km e un milione di tornanti (anche se da est a ovest l’isola ne misura in linea d’aria solo 345), dove la velocità media si aggira sui 30 km/ora. Da Larantuka a Maumere a Ende a Bajawa a Ruteng a Labuan Bajo, queste le tappe classiche, le città principali sono distribuite in maniera piuttosto bilanciata sulla mappa, ragion per cui è possibile dedicare mezza giornata ad ogni trasferimento di cittadina in cittadina, riuscendo idealmente la stessa notte a pernottare in un letto di guest house più o meno decente (spesso meno).
Viaggiare tra l’uno e l’altro di questi centri prende, l’uno per l’altro, dalle 4 alle 6 ore, perlopiù sui soliti furgoncini pubblici maledettamente scassati (i bemo) che costano un’inezia ma sono per stomaci forti.
Avventore nella trattoria di cucina Masakan Padang sulla Trans Flores Highway, presso il villaggio di Boru
Ho appena raccontato (nella seconda puntata di questo report) del loro stato solitamente pietoso. A ogni passo salgono contadini e pastori, uomini e donne, con sacchi di merci e animali in presenza. Oltre ai bemo esistono i kijang Toyota (5 posti, più confortevoli ma non più veloci) e qualche bus di lunga percorrenza. Questo il parco mezzi pubblici disponibile a Flores, quel che passa il convento-trasporti. Non si viaggia di notte per via delle condizioni delle strade, ma non è un’esclusiva dell’isola: in tutta l’Indonesia rurale, quasi nulla si muove mai per le strade dopo il tramonto.
Il mio primo minibus non si smentisce: sarebbe più da demolitore che in condizioni di servizio, ma bisogna farselo andar bene. In compenso il proprietario-guidatore ha dotato il mezzo di un impianto stereo che io me lo sogno.
Un bemo, il furgoncino classico indonesiano adibito a trasporto pubblico
La Flores Highway mi accoglie con un certo decoro, viceversa - l’asfalto rifatto. E non è neppure troppo caldo, quando partiamo. Ma la strada si mantiene stretta, costantemente, una curva dietro l’altra. Come su una provinciale appenninica italiana, salvo i paesaggi assolutamente indonesiani che regala ad ogni svolta – roba che, non dubito, qualche blogger non esiterebbe a definire da favola. Nei tratti montani, cioè quasi sempre, qui passano solo due auto, una per senso di marcia. Strada che sarebbe fattibile anche in moto, dico tra me, se solo queste restassero le condizioni standard dell’asfalto… Il prezzo della mia corsa in minibus da Larantuka a Maumere è in linea con il paese. Economicissima.
Verso Maumere, che di Flores (1 milione e 800 mila abitanti in tutto) non è il capoluogo ma è la città principale (50.000 persone), il paesaggio si ammorbidisce. Compaiono vaste pianure e la strada descrive lunghi rettilinei. Dove esiste qualche forma di irrigazione allora si coltiva il riso. Per il resto, il territorio è dominato da appezzamenti regolari, che però in questa stagione (settembre) appaiono desolatamente inoperosi. Dopo, oltre a palmizi da cocco e bananeti dappertutto, tanto caffè. I paesaggi restano bellissimi. La natura rigogliosa in questa stagione si riempie anche degli effluvi dei cashews maturi. Qui la pianta dell’anacardo cresce alta come un albero – ma succede anche ai chiodi di garofano, al caffè, alle felci – e l’intera isola ne è disseminata. Il profumo del frutto maturo, intenso, carnoso, ricorda quello della fioritura del mango.
Quanto alle dimensioni della flora locale, mi vengono in mente le vignette di Andrea Pazienza su Bali, anni ‘80, dove le tavole del grande illustratore in viaggio da quelle parti raccontavano per iperboli come gli alberi di ficus raggiungessero i 400 metri di altezza (!), come le piante prosperassero tutte, e come tra tutte spiccasse il Nescafè!... A Flores, sulle dimensioni delle piante ci siamo, per il Nescafè molto meno. Mica tanto facile trovarne.
Masakan Padang, cucina di Sumatra
Piuttosto, si tratta di abituarsi alla cucina locale. Com’è del tutto giusto che sia. In un paesino di strada tra Larantuka e Maumere, Boru, ci fermiamo per pranzo. Qui il mio guidatore musicofilo (l’amante dell’alto volume) sembra proprio di casa.
Il ristorantino musulmano che ci accoglie è uno standard che propone Masakan Padang, la cucina tipica della provincia di Padang (Sumatra). Da qui, i suoi piatti si sono diffusi dappertutto nell’arcipelago. Spesso piccante, dai sapori forti, questa cucina dai gusti decisi è basata sul manzo (rendang), sul pesce (ikan), sul tofu (formaggio di soia: l'indonesiano e il birmano per me sono i tofu conditi migliori del mondo), e sul tempeh (alimento fermentato ricavato dai semi di soia gialla, specialità locale). Roba che o ti piace oppure odi intensamente. A me per fortuna piace. Ma c’è voluto del tempo perché mi lasciassi andare.
Trattoria Masakan Padang sulla Trans Flores Highway. Vetrina coi cibi pronti
Speziata, saporita, e quando familiarizzi appetitosissima, la Masakan Padang è ormai probabilmente, per frequentazione, la prima cucina del paese. Vedo in giro una proliferazione di ristoranti di questo genere, che significano apprezzamento diffuso. Messa in ombra nelle zone turistiche, dove i frequentatori preferiscono la più morbida fusion dei locali alla moda, con le loro promesse di un’igiene migliore ed ambientazione minimal, accattivante, la Masakan Padang spopola a livello popolare, presso le genti dell’arcipelago, a qualsiasi etnia o religione esse appartengano, in tutte le isole dove sono stato. Non è solo questione di gusto, che pure conta, ma anche di tasca. Ovvio. Si spende fino a 5/6 volte di meno che in un ristorante di Bali rivolto a una clientela internazionale di medio livello.
Anche qui, a Boru, gestori e utenza del localino si rivelano amichevoli e sorridenti, incluse signore, ragazze e bambine velate, all’indonesiana. Ma nessuno spiccica una parola d’inglese. Sono le 10.30 del mattino ed autista e bigliettaio (chiamiamolo così, questo secondo factotum) già pranzano. Devono aver fatto colazione alle 6.00, adesso muoiono di fame. E poi fumano e riposano. Io no, fame non ne ho. Ma sulla Flores Highway c’è tempo per tutto. E’ così che un viaggio di due ore diventa di tre. Averlo saputo non facevo colazione, e mi sfogavo qui.
Boru, tra Larantuka e Maumere. Autista e bigliettaio del mio bemo, nella pausa pranzo
Anche se tanti dicono che il piatto distintivo della Masakan Padang sia il rendang, ossia il manzo, io che non mangio questo tipo di carni mi diletterò per tutto il viaggio di pesce arrosto con curry di verdure o di jackfruit. Accompagnato ovviamente da un piatto di riso liscio, profumato, senza condimenti - l’onnipresente nasi putih. L’intera faccenda del resto, in una trattoria Masakan Padang, è proprio un’altra cosa, si vede come appartenga a un’altra cultura già dalla presentazione del cibo. E’ tutto pulito e genuino, a volte pulitissimo, non si sta mai male e per la gente del posto è uno standard, ma i cuochi preparano le portate al mattino, le mettono in contenitori di metallo, in vassoi o in veri e propri catini, e lasciano lì tutto in vetrina ad attendere gli avventori, proteggendo il cibo solo con apposite tendine che tengano a bada le mosche. Niente aria condizionata, niente refrigerazione. Siccome fa caldo, dopo alcune ore qualche inconveniente igienico potrebbe crearsi. Ma in genere va tutto bene. Altrimenti sarei già morto.
A volte queste trattorie sono tirate a lucido, di solito se gestite da una donna, e allora tenute come uno specchio. Altre volte appaiono in disarmo, lasciate andare, e qui più spesso c’entra un uomo, anche se non è detto vada sempre così. Il punto è che nell’Asia non abbiente esiste un particolare orientamento verso l’essenzialità (che può degenerare in sciatteria come dappertutto, ma allora è un altro discorso). Qui si viene da abitudini contadine, si bada al sodo. E gli avventori, che sono appunto gente semplice - contadini, pescatori e manovali - a tanti dettagli non fanno caso. Passano sopra anche a evidenti mancanze di igiene. Ma, a differenza di quanto succede nel subcontinente indiano, dove l’inquinamento fecale è spesso grave e dove può capitare di ammalarsi anche negli alberghi fighi, io in Indonesia non mi sono mai preso niente.
Gli utenti delle trattorie Masakan Padang vogliono che il cibo sia decente, abbondante e poco costoso. Un po’ come i nostri camionisti o i muratori (quelli di una volta). Quindi si tratta di eateries alla buona, dove di solito l’intera famiglia gravita intorno alla gestione del locale, poiché di un family business normalmente si tratta. Dove alla sera i bambini si addormentano sui compiti la testa riversa su uno dei tavoli, e macchiano d’unto i quaderni; dove i sorrisi per un ospite straniero sono frequenti e sinceri. Dove si sentono onorati della tua presenza, te lo dicono con gli occhi.
Il gestore di una trattoria Masakan Padang. Dietro di lui, il menu
A Larantuka ho cenato un paio di sere di fila in uno dei queste trattorie, presenti solo una papà (stanchissimo) ed un bambino sui 10 anni (obeso). Era tardi. Il padre faceva prendere al bambino delle medicine. Il locale - messo piuttosto male, una vera bettola - si trovava ai margini di una brutta strada, trafficata, rumorosa. Ma un po’ perché a Larantuka non sai dove mangiare, un po’ per la simpatia di quei visi stravolti, di quel papà e del suo bambino 18 ore al giorno dietro a quel banco e su quei tavoli, sono entrato ed ho ordinato ripetutamente. Padre e figlio due gocce d’acqua, peccato non aver fatto loro una foto, impegnati nella gestione di una eatery da 4 soldi nella notte feroce di Larantuka, con l’afa, le zanzare, la piccola tv sempre accesa… Con il padre – lui, stavolta – che si addormentava sul suo bancone mentre il bimbo mangiava quel che mangiavo io per poi bersi avidamente una telenovela della tv vociante infarcita di spot…; è stata una disavventura che ricorderò a lungo.
Mi avessero visto i clienti dei viaggi che vendo direbbero che sono matto, parlo di quelli che si lamentano di qualche due e tre stelle…
Ma il cibo della bettola di Larantuka era buono. E proprio qui ho scoperto il curry di jackfruit: basterebbe questo a giustificare l’avventura.
Maumere e oltre
A Maumere, really on the road, cambio terminal: per proseguire come intendo devo recarmi dall’altro estremo della città. Prima mangio ancora in una piccola trattoria Masakan Padang, pesce al curry e riso, poi salterò su un kijang, un suv ad aria condizionata usato come taxi collettivo. Destinazione, Moni, il paese d’accesso ai laghi di Kelimutu.
A Maumere provo a cambiare degli euro alla Western Union (non che ci siano grandi opportunità per un exchange adeguato, a Flores) ma giro ben tre banche e il tasso di cambio è talmente miserevole che, non essendo ancora alla frutta, soprassiedo. Nell’occasione incontro una funzionaria della banca del posto, una donna robusta che irradia gentilezza. Il suo ufficio è annidato in una Danamon, uno dei primi istituti di credito del paese. Non cambio un accidente ma ottengo che la signora, su richiesta, mi sorvegli il bagaglio mentre io mi dò da fare a cercare condizioni più favorevoli altrove. L'obiettivo, di passaggio, è capire un po' meglio come sia fatta Maumere, dove mi concedo una mezzora di sightseeing. Verdetto: piacevole, lineare ed alberata dove è intervenuto il governo centrale con la sua pianificazione, povera e sporca altrove, in particolare dove la porzione non abbiente della popolazione è lasciata a sé stessa, a ciondolare sui selciati urbani nel caldo opprimente del mezzogiorno. Maumere, apprendo, fu anche distrutta da uno tsunami del 1992, seguito a un terremoto devastante (magnitudo 7,8) - a proposito della sismicità del territorio. Vi furono ben 2500 vittime, ne uscì devastata anche la locale barriera corallina.
Di ritorno, recuperato il bagaglio, eccomi sul kijang. Eludo la curiosità continua dei miei due scarrozzatori, di cui non ho proprio voglia. Dopo il buonumore iniziale, che fa piacere e che condivido, i due non fanno altro che scherzare, ma io non parlo la loro lingua e loro non sempre sono spiritosi; non la smettono più di darsi il 5, di darlo a me, di spiegarmi che a Moni, dove peraltro fa freddo, mica come qua, si chiava per 200.000 rupie. Il suv però è confortevole, assai meglio del pullmino del mattino, l’autista guida bene e il viaggio non dovrebbe durare troppo. Mi rassegno a sopportare i loro modi grevi.
Durante il viaggio da Maumere a Moni, osservo la tipologia dei villaggi. I tetti delle abitazioni, anche delle migliori, sono tutti in lamiera. Costano meno, e per i poveri questo è decisivo, anche se poi arrugginiscono presto. L’ossatura delle case è in mattoni, il resto in legno, ma più spesso ancora si usa il bambù.
Mentre l’asfalto si mantiene di livello decente, la strada sale e sale, e poi scende e scende e non la smette più, contorcendosi in curve senza fine. Attraversiamo infinite piantagioni, soprattutto di cacao (portato anch’esso dai Portoghesi in epoca coloniale). La natura resta meravigliosa.
Foresta di bambù lungo la Trans Flores Highway