La spiaggia di Jimbaran a Bali è, in un modo tutto suo, polifunzionale. Con due volti distinti, uno serale e uno diurno.
Trovandosi a quattro passi dall’aeroporto Ngurah Rai, il secondo dell‘Indonesia, il luogo è giustamente popolare. Lungo due km di sabbia si affacciano anche un paio di resorts di un certo livello e dietro, nel fogliame, decine di altre strutture offrono accoglienza.

 

La pescosa scogliera a ridosso del tempio di Ulu Watu, nella Bali del sud. Foto Renzo Garrone

Questo, nonostante Jimbaran non sembri l’ideale per fare il bagno, almeno se raffrontata con la meravigliose trasparenze dell’acqua cui Bali ci ha abituati. Altrove.
Da sempre, piuttosto, il luogo è sinonimo di pesca e a quanto ad essa va collegato.

Le libagioni delle vacanze
Verso sud la spiaggia viene chiamata Pantei Muayo (qui scritto in caratteri italiani come si pronuncia, la lingua è il Bahasa Indonesia). Sulla collina che domina la baia sottostante si allarga da decenni un hotel Four Seasons, con decine di bungalows. Ma Pantei Muayo è famosa soprattutto per il pesce alla griglia, quell’Ikan bakar che amano un pò tutti, indonesiani e turisti. Alla sera, questo lembo di spiaggia si riempie di gente seduta ai tavoli, immersa in uno spettacolo di grande fascino, in mezzo al tremolio di centinaia di lumini. Si mangia e si beve bene e a buon mercato sotto le stelle, uno di quei casi in cui gli uomini, e persino i turisti, si inseriscono con gusto e misura nello spettacolo della natura.

Ma, se lasciamo le libagioni delle vacanze e rimanendo sulla spiaggia di Jimbaran ci dirigiamo verso sud, verso l’aeroporto, troviamo i luoghi della pesca, e del consumo locale. Ecco dapprima, uno dopo l’altro, i capanni e le barche dei pescatori - intere famiglie vivono in zona. Poi in fondo a tutto, quasi all’Ngurah Rai, ma da esso separato da un gigantesco terrapieno, ecco il mercato ittico, vecchio stile, di Kedonganan.
Qui le trattative si fanno più fitte, l’andirivieni più intenso. Abbiamo raggiunto quasi la fine del lunghissimo nastro di sabbia, siamo al rinomato mercato del pesce. Quel Pasar Ikan che racchiude un festival di freschezza e genuinità in un basso edificio compatto – e appena fuori di lì. Nel vecchio fabbricato i banchi del pesce, costipati ma vitalissimi, sono un centinaio.

Pesce azzurro sui banchi del pasar ikan. Foto Renzo Garrone

Il mercato del pesce
Fuori dall’edificio, nei cento metri tra questo e il bagnasciuga va in scena il tramestio di un luogo di pesca tradizionale, dove si mischiano nel mattino i catamarani tirati in secco, i pescatori sbarcati dalla notte di lavoro in mare, le donne che rivendono il prodotto appena scaricato. Transazioni che avvengono direttamente sulla sabbia della spiaggia, su grandi teli stesi per terra alla meglio.
Alacri facchini spostano il pesce verso lo stabile del mercato, infilandoli nelle loro ceste, o in carrelli e carriole, o ancora più spesso portando certi lunghi pesci sulla schiena – cibo che solo l’oceano può regalare. Si maneggiano anche enormi lastroni di ghiaccio macinato artigianalmente per conservare il prodotto.

Nel  vecchio mercato a Kedonganan. Foto Renzo Garrone

Tutt’attorno si allargano chioschi di cibo cucinato all’istante, un pò dappertutto, secondo la consuetudine locale. Venditori e venditrici sono tutti imprenditori di sé stessi, piccoli business a carattere familiare: economia informale.
I prodotti del mare la fanno naturalmente da padrone, ma abbondano anche tofu (tahu in bahasa, l’idioma locale) e tempeh, entrambi una fermentazione dei fagioli di soia gialla (il tempeh in particolare è un’invenzione, una specialità originaria dell‘Indonesia).
Scordate però le brutte, pallide copie che avete assaggiato in Europa e che ovviamente vi hanno deluso. Provate questi cibi in Indonesia (ma anche in Birmania, dove una delle specialità è proprio il tofu!): sono tutt’altra cosa, e capirete perchè qui la gente li ami e li consumi a ogni piè sospinto.
E ancora si possono scegliere germogli di soia, fritti fantasiosi con la pastella e il cavolo verza tagliati fini, curries con il jackfruit, zuppe con la curcuma e il pollo e i noodles sottili (la minestra nazionale, ossia il soto ayam), riso fragrante. Dolci fatti con lo zucchero delle palme. E‘ la magia, perché di magia si tratta davvero, dello street food indonesiano.
Anche qui al mercato del mattino, molto più alla buona che alla sera in Pantei Muayo, è possibile consumare pescato fresco cucinato on the spot: grigliato, con riso e sambal, all’indonesiana, alla rusticana, all’arrabbiata, con l’ausilio di salse piccanti, o come si vuole. Sono numerosi i chioschi spuntati lì a due passi. Alcuni formati giusto da una tettoia e un paio di tavoli sotto gli alberi, altri più piacevoli con qualche vezzo, arredi poveri ma pieni di gusto, fantasiosi come sanno essere gli indonesiani. In uno questi ristorantini, per esempio, i tavolini in legno sono a forma di barca, dipinti in colori vivaci.
Tonno, dentice, sgombri, sardine, calamari, vongole, granchi, gamberi e gamberetti, aragoste. Assisto ammirato alla sfilettatura di un grosso sgombro realizzata con grande perizia da parte di un ragazzo che, col suo coltello affilato, non sbaglia una mossa. Se già sfilettato il prezzo raddoppia.

Barca da pesca tra Jimbaran e Kedonganan. Foto Renzo Garrone

Nonostante la vicinanza dell’aeroporto rari gruppetti di turisti visitano questo mercato. Più spesso i venditori vedranno coppie, famiglie o singoli facenti parte dei circa 30.000 stranieri che hanno scelto di vivere a Bali, attratti dalla qualità della vita del posto. Alcuni di questi expats, magari nei weekend, vengono qui a fare un pò di spesa. Ho notato come i venditori, con loro, si comportino con pazienza e gentilezza (diverso diventa l’atteggiamento se uno arriva a far semplicemente razzia di foto). Il problema non é tanto la foto quanto il come la si fa: se stabilendo un rapporto, per il quale di solito basta un bel sorriso, una o due parole locali, qualche forma di interazione.
Anche nei confronti dei turisti ho visto uguale gentilezza, pur avendo il venditore compreso che uno straniero di questo tipo non compra, o compra assai di rado. Come può del resto un visitatore classico, nel suo breve passaggio tra i banchi, acquistare un pesce che difficilmente potrà consumare, non avendo tra l’altro un luogo dove cucinarlo? In qualche ora di visita a Kedonganan il turista entra nella classica dimensione del transito. Una condizione che può implicare diverse scoperte, ma non consente di soffermarsi granchè sulle cose. In ciò consiste il bello e il limite dell’esercizio. Volendo approfondire bisognerà tornare tra i pescatori ancora ed ancora, fare amicizia, uscire a pesca con qualcuno di loro. Si tratterà di fermarsi più e più volte a mangiare direttamente al mercato. Magari, una volta o l’altra, facendosi raccontare da una venditrice un paio di ricette locali.

 Sulla spiaggia, integrazione della pesca d’altura con un pò di esercizio mattutino. Foto Renzo Garrone