L’area del Parco Regionale di Portofino (circa 1000 ettari), salvaguardata dal 1935, e l’Area Marina Protetta prospiciente la costa, nella stessa zona, sono state inserite nel progetto di un nuovo “Parco Nazionale di Portofino” con legge dello Stato: è successo a fine 2017, con l’approvazione di una Legge in materia, proposta da Massimo Caleo, deputato del PD. Nel 2018 la Regione e i Comuni interessati (Camogli, Santa Margherita, Portofino, ossia quelli facenti parte del Parco regionale attuale, più una ventina di altri Comuni che potrebbero entrarvi) dovevano coordinarsi tra loro (limite, fine anno 2019) per indicare al Ministero dell’Ambiente i confini territoriali del nuovo Parco Nazionale. Da questi steps dovrebbero discendere i decreti attuativi e l’inizio della nuova gestione.
Dal Belvedere sopra "Genovesi", a Camogli, sguardo d'insieme fino a Genova.L'intera costa fino a Bogliasco, oltre all'entroterra corrispondente, confluirà nel futuro Parco nazionale di Portofino?
Il progetto consiste nella protezione di un ampio territorio, molto più vasto dell’attuale, che sulla costa ligure parte da Bogliasco ad ovest (primo comune dopo la grande Genova) e arriva a Sestri Levante e Punta Manara ad est. Ma consiste anche nella protezione di almeno una parte dell’entroterra subito alle spalle della Riviera. Cioè dell’arco della Fontanabuona, vero e proprio hinterland del Tigullio, ben noto ai locali ma quasi ignoto nel resto d’Italia.
Tutto bene allora? Per niente. Il condizionale resta d’obbligo, in quanto siamo ancora – nonostante l’approvazione della legge – a livello di ipotesi. Esistono difficoltà di varia natura. La prima legata al fatto che purtroppo in Liguria non si rema tutti nella stessa direzione. A tutt’oggi, maggio 2019, un confronto reale tra i Comuni e la Regione per compiere passi avanti concreti non è ancora effettivamente partito. Eppure il tempo stringe: sono fissati per dicembre 2019 i termini per arrivare a quei confini certi su cui il Ministero ha chiesto un preciso pronunciamento. Bisogna costruire quindi il consenso degli interessati attorno ad una mediazione congrua per il territorio, bisogna trovare un onesto compromesso tra interessi diversi, pena il decadimento della fattibilità del progetto. Eppure, una certa sorda ostilità rispetto al Parco nazionale è manifesta, anche se il Parco stesso potrebbe avvalersi di fondi ben più importanti (europei e non solo italiani) di quanto non accada per l’attuale territorio protetto, il Parco regionale del Monte di Portofino (bellissimo ed anche ben tenuto, ma sotto-finanziato). Ed anche se la nuova legge dello Stato rappresenta una notevole opportunità di sviluppo virtuoso per i 20 comuni sia costieri sia dell’entroterra, che potrebbero esservi inclusi. Si prefigura infatti un effetto-traino tra i diversi ambienti dell’intera zona, riuscisse quest’ultima a funzionare davvero in modo consortile, sistemico.
Gli attori in campo. La Regione Liguria è quanto meno tiepida. Su questo Parco ma anche su alcuni aspetti della protezione ambientale così com’è stata gestita finora. Con il centrodestra le Aree Protette sono state ridotte. “L’assessore ai Parchi della giunta Toti, il leghista Stefano Mai, aveva presentato un disegno di legge per la riduzione di 540 ettari del territorio dei più grandi Parchi naturali liguri” – scriveva il 14 aprile 2019 Paolo Frosina per Il Fatto Quotidiano.it – ossia “del Parco delle Alpi liguri, di quello dell’Aveto e di quello dell’Antola. Non solo: la legge, approvata dall’Assemblea regionale il 9 aprile, revoca la classificazione di Area Protetta regionale a 42 territori nel Savonese, per un totale di oltre 22mila ettari, e scrive la parola fine sul progetto ormai decennale di realizzare un altro Parco, quello del Finalese, rimasto lettera morta dal 1995 quando fu approvata la legge che lo istituiva”. E ancora: “Il provvedimento cancella inoltre vasti tratti di area contigua – una sorta di zona-cuscinetto tra i terreni vincolati e quelli a edificazione libera – con il risultato che gli ettari sottratti ai parchi diventano edificabili al pari di qualunque altro terreno, oltre che a disposizione dei cacciatori. La maggioranza, peraltro, non nasconde che lo scopo dell’iniziativa sia quello di incoraggiare nuove costruzioni, come antidoto alla fuga degli abitanti dall’entroterra: “C’è chi tutela la biodiversità seduto sul divano di casa, noi preferiamo favorire la presenza dell’uomo nelle zone spopolate”, ha detto in dichiarazione di voto il consigliere di Forza Italia Angelo Vaccarezza.
I sindaci. “Anche parecchi tra loro” – aggiunge Antonio Leverone a Camogli, storica figura dell’ambientalismo ligure – “evidenziano una sorta di vergogna rispetto alla tutela ambientale. Quasi un timore ad esporsi”. Come vedremo, solo 5 o 6 paiono aver colto il senso di questa opportunità.
Antonio Leverone, di Camogli, del Coordinamento per il Parco Nazionale che unisce una ventina di associazioni ambientaliste liguri. Foto Renzo Garrone
La popolazione. “Parte dei problemi che il 'Monte' ebbe tra i primi anni ’90 ed il 2000 furono legati al fatto che molti residenti percepivano la protezione ambientale essenzialmente come vincolistica. Poi le cose nell’area sono migliorate” – ragiona Benedetto Mortola, che lavora all’Ente Parco dal 1983 ed è residente di San Rocco di Camogli, una frazione all’interno del territorio protetto. “Ma la sensazione è che questo nuovo Parco Nazionale venga visto ancora nello stesso modo. Più come un impedimento possibile" (a nuove costruzioni, alla caccia, eccetera) "che come un'opportunità".
Secondo chi scrive, ciò è molto probabile. E il nuovo Parco può essere interpretato non soltanto come un vincolo, ma anche come troppo grande e come troppo vago in termini progettuali. Difficile per chi non sia abituato a ragionare in termini consortili fare in pochi mesi il salto verso una logica più collaborativa, di sistema. Magari, però, è proprio il senso di questa sfida. E vedremo come dall’entroterra arrivino segnali di qualcosa che sta cambiando.
L’iter dal 2017 ad oggi
Il 23 dicembre 2017, con un emendamento nella Finanziaria, si approva dunque la Legge per cui Portofino può diventare Parco Nazionale. Non più solo il ‘Monte’, ma un territorio pregiato assai più vasto. “Un’idea contenuta nella Legge-Quadro 394 sulle Aree Protette, che si era precedentemente impantanata in Parlamento” - dice il sindaco di Camogli Francesco Olivari - “Caleo sblocca i casi non problematici (Portofino e Matese) scorporandoli dal corpus complessivo della legge stessa”.
“Diventando nazionale, il Parco di Portofino non dipenderà più, per governance e per sovvenzioni, dalla Regione Liguria, ma direttamente dal Ministero”, dichiarava il senatore Caleo in quei giorni al Teatro Sociale di Camogli. “Il nuovo Parco nazionale di Portofino avrà un nuovo Consiglio composto da otto persone” – spiegava lo stesso Caleo - “di cui quattro rappresentanti della Comunità del Parco, uno del Ministero dell’Ambiente e uno dell’Agricoltura, un membro dell’Ispra e uno delle associazioni ambientaliste. Con un unico presidente, eletto d’intesa tra il Ministero dell’Ambiente e la Regione”.
Il 17 luglio 2018 viene convocato appunto al Ministero dell’Ambiente, a Roma, un primo incontro con la Regione Liguria, l’Ente Parco regionale di Portofino, l’Area marina protetta, ed i rappresentanti dei 20 Comuni liguri che fanno parte della mappa iniziale delle aree di riferimento disegnata dall’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale). Allo stadio iniziale, Il Ministero non definisce una perimetrazione del futuro Parco nazionale, indica solo un’area vasta di interesse. Chiede siano Regione Liguria e Comuni a valutare i confini e il proprio coinvolgimento, trovando un accordo tra loro.
In un secondo incontro con gli stessi invitati, convocato per il 7 novembre 2018 e rinviato poi al 20, viene illustrato uno studio dell’ISPRA realizzato nel frattempo in proposito. “Dopo di che però” – dice ancora Olivari – “la Regione non convoca a sua volta i Comuni per procedere nelle consultazioni”.
Nel febbraio del 2019 ecco un terzo incontro al Ministero. Nelle varie versioni dei fatti che chi scrive ha raccolto, tra Ministero e Regione la collaborazione si rivela davvero scarsa. La stessa Genova Città Metropolitana, che non c’entra a rigor di termini ma che c’entra sempre in termini di potere in Liguria, si comporta in modo freddo in proposito. Comunque: dapprima è il Ministero stesso a convocare per la terza volta, direttamente i 20 Comuni interessati. Successivamente, e per l’esattezza l’11 febbraio, sarà la Regione a provvedere ad un’altra convocazione degli stessi. Fatto sta che a Roma nel febbraio 2019 la Regione Liguria non si presenta, se non con alcuni funzionari: i suoi rappresentanti politici non si muovono da casa. Tra i sindaci, coloro che vanno a Roma sono solo 5 o 6: oltre a quelli di Camogli e di Santa (tra i comuni già inclusi nell’Area Parco spicca l’assenza di Portofino), ci sono Bogliasco, Rapallo e Chiavari, gli unici che evidentemente intravvedono nella nuova legge un’opportunità.
“Assente era l’Assessore regionale ligure ai Parchi, Stefano Mai” – scriveva Il quotidiano genovese il Secolo XIX il 15 febbraio 2019, a firma Rossella Galeotti – “che ribadiva la sua posizione contraria all’allargamento: meglio partire mantenendo i confini attuali del Parco regionale e accorpando l’Area Marina. Questa impostazione della Regione” – scrive la Galeotti – “avrebbe il consenso dei sindaci dei tre Comuni interessati, Portofino, Santa Margherita e Camogli”. Per Mai infatti, “le risorse messe a disposizione dal Ministero per il Parco nazionale, circa un milione di euro, sarebbero insufficienti per organizzare e gestire un’area più vasta”. L’Assessorato competente della Regione, in mano alla Lega, vuole in sostanza mantenere gli attuali confini del Parco Regionale di Portofino, includendo solo i Comuni che ne fanno parte, ossia Portofino, Santa Margherita e Camogli. Lo studio dell’Ispra inviato ai comuni interessati prospetta invece un’area molto più vasta.
A Roma il presidente della Regione Toti aveva comunque parlato di un altro incontro con i sindaci, per superare le contrapposizioni.
Il Monastero di San Prospero,a Camogli, con vista su Punta Chiappa e Monte di Portofino. In un bel pomeriggio d'inverno. Foto Renzo Garrone
“All’inizio la nostra proposta” – dice Olivari a Camogli – “era trasformare il regionale in nazionale, cioè che i confini del Parco Regionale attuale (poco più di 1100 ettari) divenissero quelli del nuovo Parco nazionale. Il Ministero però, ci hanno spiegato, non poteva partire da lì, ma da una prefigurazione più ampia, come suggerito dall’ISPRA. Con soli 1100 ettari sarebbe stato un Parco Nazionale troppo piccolo, il più piccolo d’Italia. Che non si può fare”.
Per Olivari, “se una decina di Comuni tra quelli scelti il Parco Nazionale non lo vogliono proprio, allora” (dopo le elezioni del 26 maggio che chiariranno quali equilibri si vengano a creare) “andiamo avanti con i comuni realmente interessati, lasciando perdere gli altri”. Resta il fatto che non avrebbe senso, il sindaco di Camogli lo riconosce, la proposta di un territorio protetto a macchia di leopardo, in parte sì e in parte no. La protezione ha un senso compiuto se integrata, se le aree da proteggere sono contigue, se non ci sono buchi. Quanto ai denari, beh per Olivari, almeno in fase di avvio, quel milione di euro previsto come stanziamento inziale andrebbe bene. Posto che successivamente i fondi arriveranno dall’Europa - ragiona il sindaco. “La dirigente del Ministero dell’Ambiente di Roma” – spiega lui – “ha ribadito come necessiti entro fine anno della perimetrazione del nuovo Parco. Così, la nostra idea sarebbe di arrivare, dopo opportune consultazioni, ad una superfice di 3000 ettari, che includa sul mare da una parte Rapallo e Chiavari e dall’altra Pieve e Bogliasco”.
Fin qui Olivari. Chi scrive suggerisce, e l’ha suggerito anche a lui, di considerare quello che nel frattempo sta accadendo a ridosso della riviera, nelle vallate interne. In Fontanabuona.
La Fontanabuona: qualcosa si muove nell’entroterra
Ma cosa ne pensano nell’entroterra? Dopo l’approvazione della Legge sul Parco nazionale qualcosa sembra essersi mosso in Fontanabuona, almeno a giudicare da un incontro seminariale sul tema, svoltosi a Recco il 23 aprile 2019. La serata, promossa da Sergio Siri, candidato sindaco alle elezioni comunali per il centro-sinistra, ha visto una partecipazione attenta di pubblico, politici e operatori commerciali.
Dice il geologo Brancucci: come riequilibrare il dissesto del territorio in questo entroterra, la Val Fontanabuona, dove il reddito pro capite è solo il 50% di quello della costa, più famosa e glamour? Un territorio in cui l’abbandono è fenomeno acutissimo, tanto che per riparare ai danni ambientali creatisi i sindaci dei comuni locali spendono tutte le proprie risorse? Il 60% del territorio ligure è terrazzato, il 40% abbandonato: è noto come le terrazze necessitino cura e manutenzione regolare, ma è pure evidente che l’abbandono rende la cosa sempre più episodica, ed in ultima analisi insufficiente.
Siamo arrivati, dice Brancucci, a un accordo sottoscritto da 10 comuni della Fontanabuona, uniti in una ATS (Associazione Temporanea di Scopo), affinchè le terre non più coltivate vengano affidate a chi le coltivi per certo. Sotto l’ombrello di un progetto apposito, lanciato dall’Università di Genova, pare siano infatti numerosi i residenti del comprensorio che hanno accettato di cedere gratis i propri appezzamenti che non riescono più a coltivare. L’accordo è stato firmato dai sindaci, in un patto coi cittadini, che cedono ciò che non sfruttano per una buona causa.
Mulattiera nell'entroterra ligure, Val Fontanabuona. Foto Renzo Garrone
Perché c’è del metodo, spiega Brancucci. Cioè, qualcosa si muove davvero. Per esempio le future produzioni di questi terreni potrebbero rientrare, sotto l’ombrello del futuro Parco Nazionale di Portofino, sotto la protezione di un marchio di qualità. Questi appezzamenti potrebbero ospitare idee innovative. Il brand Portofino è pregiato: il nome di Portofino, l’unico con una notorietà internazionale in questa zona, gode di buona fama. L’Università sta dunque studiando scientificamente quali produzioni potrebbero essere rilanciate, e quali potrebbero essere quelle nuove su cui investire. Quali abbiano, in sostanza, un mercato specifico su cui poter puntare, quali possano essere attrattive per gli investitori, nazionali ed esteri.
Se l’ardesia, storica risorsa locale, sembra non avere futuro, emergono tante altre idee. Per esempio la seta certificata ligure per mercati che uno non immagina, come quello delle protesi oculari o tendinee. O la canapa per uso fibre (mercato difficile però, questo, vista la conformazione dei suoli liguri che non si presta alle esigenze della coltura - tale sembra sia stato il feedback degli esperti).
Brancucci propone anche una fruizione nuova del suddetto marchio, che le nuove tecnologie rendono oggi possibile: l’“Etichetta geologica del prodotto” utilizza un sistema interattivo che fa ricorso a markers chimici, tramite cui il consumatore accede direttamente alla verifica qualitativa del prodotto stesso. Poiché, afferma il geologo, percepire la qualità è essenziale, e così diventa possibile la verifica immediata. In questo modo la si potrebbe comunicare più facilmente, cosa che oggi non si riesce a fare.
In ogni caso, dice Massimo Maugeri di Legambiente, consigliere del Parco regionale di Portofino, sono necessari una visione consortile e un approccio sempre più integrato. La costa deve aiutare l’entroterra, anche perché il dissesto si ripercuote poi anche sulla Riviera. Bisogna che il Parco divenga più grande, e che venga percepito come un tesoro di tutto il territorio.
Secondo Laura Canale, ex funzionaria della Regione Liguria, esperta di fondi UE, “soldi ce ne sono e l’idea di sistema è quella giusta. I fini devono essere integrati”. Fino al 2027 si tratterebbe di un miliardo e mezzo di euro, nell’ambito di programmi UE che durano 7 anni. Sono i Consigli Comunali che devono attivarsi, partecipare, per ottenere la loro quota di fondi. Ma anche le semplici associazioni, secondo l’Art. 118 della Costituzione, possono presentare progetti alle amministrazioni pubbliche. In Liguria c’è chi ha perseverato e ce l’ha fatta, dice la Canale, come la Fondazione Manarola (alle Cinque Terre) che ha ottenuto 2 milioni e mezzo di euro dall’UE, per il recupero e lo sfruttamento di 11 ettari dalle loro parti. Questi terreni, oggi recuperati, hanno reso possibile sia la creazione di nuovi posti di lavoro sia, persino, l’inserimento di migranti arrivati tramite la Caritas.
Ovviamente c’è anche il turismo tra le risorse possibili – ricorda Stefano Massone di Camogli, anch’egli un ex funzionario regionale in forza all’Ufficio Parchi. Tra le opportunità, il potenziamento del turismo escursionistico nell’entroterra, sotto l’ombrello del nuovo Parco Nazionale. Che servirebbe anche ad alleggerire la fruizione del ‘Monte’, cioè della core area del Parco, già discretamente battuto.
Parco Nazionale: verso l’integrazione con ‘Pelagos’, il Santuario dei Cetacei?
Scrive Antonio Leverone, oggi esponente di spicco di un Coordinamento per il Parco Nazionale che unisce le associazioni ambientaliste (il Coordinamento si è costituito a gennaio 2019 ed è forte di una ventina di adesioni): “Si consideri il territorio da Recco (dove il Comune ha chiesto un qualche inserimento nel Parco di Portofino) a Punta Manara, dove nella fascia costiera si trovano varie Zone di Protezione Speciale: del Monte Fasce, di Montallegro, la Pineta delle Grazie, Foce e medio corso del fiume Entella, Rocche di S.Anna, Punta Manara nonché l’attuale Parco regionale di Portofino. Perché non pensare a un unico Parco Costiero? In realtà” - aggiunge Leverone – “considerando anche i fondali limitrofi all’area marina protetta nazionale di Portofino, cioè le zone di Boccadasse, Nervi, Sori, il Golfo di Rapallo, Sestri Levante e dirimpetto i fondali di punta Manara, si può benissimo pensare ad un unico Parco Costiero Marino. Ossia: si può arrivare a un grande Parco Nazionale Costiero Portofino – Punta Manara”.
La particolare lucentezza delle foglie del carrubo. A Chiavari, d'inverno. Foto Renzo Garrone
“Non si renderebbe necessaria alcuna modifica delle aree e dei vincoli esistenti” – puntualizza Leverone - “e neppure alcun ampliamento, solo una gestione integrata. In ogni caso, sia nella realizzazione del Parco Nazionale di Portofino che nel caso di un Parco Costiero, da valutare è l’importanza sinergica della proposta. Si aprirebbe infatti la prospettiva di una gestione ambientale (affiancata da un’offerta turistica sostenibile) ad ampio raggio, in coordinamento con il Parco dell’Aveto. Costa ed entroterra. Si realizzerebbe la condivisione di una esperienza culturale e ambientale di grande valore”.
Ma mentre lavora per la causa del Parco nazionale Leverone vola più alto, come del resto quell’Ochin (gabbiano, in genovese) che è il nome dell’associazione culturale da lui fondata una dozzina d’anni fa, ed ora molto attiva a Camogli. Lui suggerisce di guardare le cose in prospettiva. “Di fronte a una realtà territoriale di tale pregio” – conclude – “non va dimenticato il già esistente Santuario dei Cetacei denominato ‘Pelagos’, un Parco internazionale marino prestigioso proprio di fronte a noi”, che tocca la Corsica a sud-est, le coste francesi ad ovest, ed ha il vertice nord in Liguria. “Su nostro suggerimento” – conclude Leverone – “la Regione e l’Area marina protetta di Portofino hanno iniziato la valutazione di un progetto organico in proposito”.
Per ora, decisivi per il Parco nazionale di Portofino saranno i mesi da qui a dicembre 2019. Per evitare che l’opportunità sfumi bisogna che Regione, Comuni, classe dirigente e i cittadini liguri più sensibili trovino (presto) un accordo concreto sui confini e sul progetto.