In Birmania ha avuto luogo la notte scorsa (tra il 31 gennaio e l’1 febbraio) l’ennesimo colpo di stato. E’ il quarto in 60 anni, ma il primo nell’era della comunicazione globale, come sottolinea l’ autorevole rivista birmana The Irrawaddy. I precedenti ebbero luogo nel 1958, nel 1962 e nel 1988. Protagonisti sempre i militari (in birmano, il Tatmadaw), per impedire a governi civili democraticamente eletti di insediarsi, o per invalidare processi elettorali che li avevano visti perdenti.

I fatti
“Il colpo di Stato in Birmania era nell’aria già da giorni” – scriveva stamani Notizie Geopolitiche – “fin da quando l’esercito, che controlla un quarto del potere effettivo del paese, ha preso a denunciare brogli elettorali in merito alle elezioni svoltesi l’8 novembre”. 

Il generale golpista Min Aung Hlaing

Queste elezioni hanno dato una vittoria a valanga alla NLD (National League for Democracy), col partito di Aung San Suu Kyi impostosi “con una larghissima maggioranza, 368 seggi, sull’Union Solidarity and Development Party, coalizione di 23 partiti sostenuti dai militari e guidata dal generale Than Htay”.

Mancavano poche ore all’inizio dei lavori del nuovo Parlamento, quando le comunicazioni e l’energia elettrica sono state tagliate, sono arrivati i carri armati ed è stato dichiarato lo stato d’emergenza. Poi l’energia elettrica è tornata e l’esercito ha annunciato alla tv “di aver preso il controllo del paese per un anno di stato d’emergenza”; il potere è adesso nelle mani del generale Min Aung Hlaing, l’uomo forte del nuovo regime. La leader della National League for Democracy Aung San Suu Kyi, vari esponenti dello stesso partito, e del governo, sono stati arrestati. E mentre Internet è rimasto bloccato per diverse ore, venivano sospesi anche altri servizi, come quelli bancari. Suu Kyi, la ‘Signora’ della politica birmana, in una dichiarazione ha esortato la gente ad opporsi. Ha chiesto alla popolazione di ‘resistere’ e ha ricordato come i militari non tengano tra l’altro in considerazione i rischi di questo stato di cose in tempo di pandemia.

Myo Nyunt, portavoce della National League for Democracy, ha confermato che Suu Kyi e il presidente Win Myint sono stati arrestati. Nyunt ha dichiarato a The Irrawaddy: “Si tratta di un colpo di stato militare, ma l’esercito dice che non lo è. Hanno obbligato il presidente del parlamento a indire un incontro in nome della sicurezza nazionale, e di annunciare il trasferimento dei poteri a loro – per ricavarne un’ufficialità”. Attualmente la televisione pubblica non funziona, visibile è solo l’emittente dei militari, il Myawaddy Channel.

Le dichiarazioni internazionali
Josep Borrell (Alto rappresentante dell'Unione Europea per gli affari esteri e la sicurezza) ha formulato su Twitter la sua condanna del colpo di stato militare in Myanmar, chiedendo un immediato rilascio dei detenuti. “I risultati elettorali e la costituzione devono essere rispettati. Il popolo birmano vuole la democrazia. L’Ue è con loro”, ha insistito Borrell. Su toni simili il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, che ha chiesto “ai militari di rilasciare quanti sono detenuti illegalmente, ripristinando il processo democratico”.
Il neo segretario di stato USA Antony Blinken ha chiesto alla giunta golpista “di rilasciare i leader della società civile birmana rispettando la volontà del popolo birmano espressa alle elezioni democratiche dell’8 novembre”. Biden in serata ha dichiarato che gli USA rivedranno il regime della sanzioni nei confronti del paese asiatico. Domani 2 febbraio sulla questione si esprimerà il Consiglio di Sicurezza dell’ONU.

Tra le voci italiane, ecco il comunicato di Cecilia Brighi, sindacalista, testimone storico nel nostro paese sulla questione birmana: “Questo colpo di stato, sfortunatamente, non ci coglie di sorpresa. Dopo le elezioni del novembre 2020, e la schiacciante vittoria della NLD, pesanti si sono levate le accuse di brogli da parte dei militari, con la minaccia di un intervento se non fosse stata avviata dal governo una investigazione" (una commissione di inchiesta?) "in merito”. Condannando il colpo di stato, Italia-Birmania Insieme, l’associazione che la Brighi presiede, chiede all’Italia e alla UE sanzioni politiche ed economiche che blocchino gli interessi dei militari coinvolti.

Sul Lago Inle

Le motivazioni formali dell’esercito
Due governi quasi-civili, in cui la NLD ha giocato un ruolo importante – almeno sulla carta – hanno guidato il paese negli ultimi 10 anni, dopo l’introduzione delle riforme pilotate dai militari. Il comandante supremo della giunta del colpo di stato, generale Min Aung Hlaing, ha dichiarato che saranno indette nuove elezioni quando lo stato di emergenza sarà stato in vigore a sufficienza da risultare efficace. Secondo il comunicato del mattino, ci vorrà un anno. Min Aung Hlaing ha aggiunto che nel suo interregno l’esercito si atterrà al dettato costituzionale del 2008. Il presidente U Myint Swe (anch'egli un militare, etnicamente Mon) è stato di fatto obbligato a dichiarare lo stato di emergenza e il trasferimento dei poteri legislativi, amministrativi e giudiziari al comandante militare in capo, secondo il dettato costituzionale (Articolo 418). I militari sostengono di aver trovato, nel processo elettorale dell’8 novembre, più di 10 milioni di irregolarità. Tutte indicatrici di potenziali frodi e un po’ in tutti gli stati della federazione: un numero equivalente a più del 25% degli aventi diritto al voto.

Secondo il Tatmadaw, l’incapacità dell’NLD di rispondere alla denuncia dei brogli da parte dell’esercito viola la costituzione, ed è questo il motivo per cui loro sono intervenuti. La ‘nuova’ Costituzione birmana, del 2008, è stata redatta largamente dai militari, che in base ad essa hanno riservato per sé stessi una quota fissa di seggi in Parlamento. Tale costituzione era stata accettata obtorto collo dalla NLD, che peraltro con questo ordinamento un po’ zoppo ha governato per anni il paese, in coabitazione con le personalità espresse dall’esercito. Ma la Commissione Elettorale del Myanmar, la settimana scorsa, aveva respinto le asserzioni di brogli sporte dai militari. Del resto la vittoria della NLD era stata una vittoria a valanga: 920 dei 1.117 seggi in entrambe le Camere di cui è costituito il Parlamento erano andati al partito della signora Aung.

Secondo The Irrawaddy, il successo elettorale avrebbe anche significato, per la NLD, l’accesso al Ministero degli Affari Etnici, incarico cruciale in uno stato federale dove un vero federalismo, pur essendo la chiave del futuro, non è mai sbocciato. Poiché in Myanmar una effettiva divisione dei poteri su base federale - e non soltanto una risoluzione equilibrata della pur scandalosa faccenda dei Rohingya - costituisce l’unica possibile soluzione per una riconciliazione nazionale. Questa è la vera, principale emergenza del paese.

Isola di Inwa, presso Mandalay. Imbarcadero al crepuscolo

L’immagine deteriorata (in occidente) di Aung San Suu Kyi
Certo, Aung San Suu Kyi negli ultimi anni è finita nell’occhio del ciclone per non aver mai condannato, né essersi mai dissociata, dalla persecuzione e degli eccidi perpetrati dai militari ai danni della minoranza Rohingya. Insignita del Nobel per la Pace nel 1991, la Signora Aung è stata poi oggetto di critiche aspre da parte della comunità internazionale, compresi i governi amici e gli organismi per i diritti umani, per aver taciuto o comunque non aver ostacolato tale persecuzione. I Rohingya sono vittime di una vera pulizia etnica, responsabili della quale appaiono proprio essere i generali che stanno adesso prendendo il potere assoluto.

Una posizione, quella della signora Aung, assai contraddittoria. Scrive Francesco Cabras, attore e regista, che negli anni degli arresti domiciliari, quando faceva il giornalista free lance, fu uno dei pochi ad intervistare Aung San Suu Kyi nella sua residenza di Rangoon: “Ho sempre voluto credere (sperare) che l'atteggiamento di Aung San Suu Kyi sulla questione dei Rohingya fosse una 'scelta di Sophie'. Cioè una scelta fatta con la pistola alla testa puntatale dalla giunta militare, che non se ne è mai andata dal governo: o loro o i birmani. E la Signora, probabilmente sbagliando, ha sempre scelto il 'suo' popolo, a costo di frantumare la sua immagine, il suo mito e soprattutto molte vite, che non credo sarebbero state comunque salvate. Quella scelta tragica temo non possa essere condivisa ma deve essere considerata in ogni suo aspetto. A prescindere da questo stiamo assistendo a ciò che non avrei mai voluto rivedere. Aung San Suu Kyi è stata arrestata insieme ad altri membri dell'NLD e siamo di fronte all’ennesimo colpo di stato. Ho conosciuto e intervistato nel 1995 Aung San Suu Kyi quando era agli arresti domiciliari a Rangoon: non ho mai incrociato nessuno che emanasse una forza e un carisma simile, anche ciò mi ha sempre fatto immaginare come la sua posizione sui profughi del Bangladesh sia il frutto di un ricatto. Ma non lo sappiamo, come non sappiamo quanto la sua politica di mediazione forzata abbia portato i risultati di queste ore. Oggi sembra che nulla sia cambiato, e sono passati trent'anni".

Aung San Suu Kyi, la Signora della politica birmana

Cosa dice la gente
Mi scrive da Rangoon un amico birmano, che fa l’albergatore in centro: “Ebbene sì, abbiamo di nuovo un colpo di stato! Nel pomeriggio una folla di persone tra cui taxi drivers, negozianti, pedoni, impiegati e residenti assortiti è andata per le strade qui in città, nei vari quartieri, a testimoniare del proprio shock di fronte agli eventi. Sempre nel pomeriggio l’accesso a internet è stato ripristinato e la gente ha preso ad esprimere sui social media il proprio sostegno al governo eletto. Ho sentito persone sperare che, per salvare il Myanmar, arrivino le truppe ONU. Ma temo non accadrà”. (Ingenui i birmani, vero?) “Nessuno ha indetto vere manifestazioni di strada finora ma siamo tutti molto attenti a quello che accadrà nell’immediato futuro. Internet adesso funziona ma non sono sicuro che durerà. Il mio cellulare, col provider Oredoo” (una delle principali compagnie di telefonia mobile del paese)” per tutta la giornata è stato disabilitato; ma le linee telefoniche di altre compagnie funzionano. Cosa vogliono dire gli eventi di questi giorni? Di sicuro, che riprenderemo a soffrire. Siamo di nuovo punto a capo coi militari, e temo che nessuno ci aiuterà. Penso che solo delle prese di posizione davvero forti da parte dell’ONU, degli USA e dell’ Europa potrebbero cambiare le cose. Ma i militari non ascolteranno. E sarà la gente comunque a farne le spese”.

Pagode a Pagan, Birmania