“La più grande democrazia del mondo” va ancora una volta alle urne. Si vota in India per il Lok Sabha, ossia per la Camera dei deputati. La cosa durerà una quantità di tempo spropositata, per i parametri occidentali,  dall’11 aprile al 19 maggio, mentre i risultati saranno noti non prima del 23 maggio.

Una maratona in 7 fasi che stenderebbe anche Mentana. Com’è noto il voto in India rappresenta il più vasto esercizio democratico al mondo: si recano alle urne 900 milioni di cittadini. Il premier uscente Narendra Modi, del partito BJP di destra, se la vedrà ancora col Congress, di centro-sinistra, guidato dall’eterna dinastia dei Gandhi. Queste elezioni – scrive la BBC – possono essere lette come una sorta di referendum su Modi, il cui Bharatiya Janata Party (BJP), nazionalista, prevalse a valanga nel 2014.

La Costituzione indiana, impostata nel 1947, fu promulgata ufficialmente il 26 gennaio 1950. Ma le prime elezioni generali furono indette nel 1951-1952 e durarono ben 4 mesi. Votava chi aveva almeno 21 anni. Allora vinse il Congress, cioè il partito di Gandhi e di Nehru, col 75% dei voti alla Camera Bassa (il Lok Sabha).

Oggi, con 1 miliardo e 300 milioni di abitanti, l’India è il secondo paese più popoloso del mondo, dopo la Cina, che ne ha 1 miliardo e 400. Ma l’India continua a crescere, mentre la Cina rallenta, per effetto delle politiche statali (che disincentivano la natalità) attuate dal governo di Pechino negli ultimi decenni. Secondo fonti governative, oggi il 65 per cento circa degli Indiani ha meno di 35 anni. E per l’ONU la popolazione indiana sorpasserà quella cinese nel 2024. Tra le metropoli, mentre declina Calcutta e restano relativamente stabili Chennai e Bangalore, New Delhi and Mumbai coi rispettivi hinterland risultano ormai abitate da più di 20 milioni di persone ciascuna.

 Al voto nel sud dell'India. Foto da internet

 

Secondo la Banca Mondiale, l’India è diventata la sesta maggiore economia del mondo nel 2017 e, superando il Regno Unito, sarà la quinta nel 2019. Il Fondo Monetario Internazionale prevede per il 2019 una crescita economica del 7.5 per cento, più bassa d’altra parte del funambolico 8 per cento annuo ritenuto il minimo affinchè sia possibile creare abbastanza lavoro per quella massa enorme di persone (giovani, soprattutto) che lo stanno cercando, e che si affacciano ogni anno sul mercato dell’occupazione. Modi aveva promesso durante il mandato che si sta concludendo 20 milioni di posti di lavoro, mica bruscolini, ma i risultati sono stati di gran lunga inferiori. Varie analisi concordano nel considerare necessaria, in tal senso, la creazione di almeno 8/10 milioni di nuovi posti ogni anno. In India ogni sforzo che riguardi la collettività diventa necessariamente di proporzioni gigantesche.

 L’India possiede la forza lavoro più numerosa al mondo, che deve però supportare un numero ancora maggiore di persone (tra ragazzini e vecchi). Creare lavoro ogni giorno è quindi un’impresa da far tremare le vene dei polsi. Giovanissimi a Fort Cochin, Kerala. Foto Renzo Garrone, 2017

Un Rapporto governativo del febbraio 2019, di cui sono trapelati alcuni dati senza che mai sia stato pubblicato ufficialmente, segnala come la disoccupazione complessiva sia viceversa arrivata al 6.1 per cento nel 2017-2018: il tasso più alto da 45 anni a questa parte. L’agricoltura impiega ancora la metà della forza-lavoro, in India, e nuovi posti si creano solo nella manifattura e nei servizi. Il settore di punta rimane l’IT (cioè l’elettronica), spesso costituito di subappalti, che si conferma uno dei comparti anche simbolicamente più rappresentativi dell’India moderna.

 

 Francobollo dedicato all'esercizio elettorale

D’altra parte, nonostante significativi miglioramenti, l’estrema povertà continua ad interessare una enorme fetta della popolazione (si tratta di uno dei grandi incubi del paese, che in patria viene spesso rimosso). Ancora secondo la Banca Mondiale, nel 2015, 176 milioni di Indiani si trovavano in condizioni di estrema povertà, con un reddito statistico 1.90 dollari per persona al giorno, mentre metà della popolazione complessiva viveva al di sotto della linea della povertà fissata dell'ONU. 

La Commissione Elettorale Indiana impiega 5 milioni di addetti per organizzare le urne in tutto il paese, incluse le aree dove la situazione è tesa (vi sono agitazioni politiche, preoccupa per esempio quella maoista degli stati del Chattisgarh e Jaharkand, in aree dove maggioritaria è la popolazione tribale).

Su un fronte più frivolo, ma che racconta il paese attuale, funzionari elettorali segnano con inchiostro indelebile il dito indice dei votanti, appena essi hanno deposto il voto nell’urna. Fornendo così loro la prova dell'aver assolto il proprio dovere elettorale, quali buoni cittadini. Immancabilmente, varie campagne sui social media hanno invitato la gente a ritrarre con un selfie se stessi e il proprio indice sporco d’inchiostro. Un'autocertificazione social che ha avuto grande successo, un'abitudine divenuta presto virale. In cui si può leggere un certo orgoglio. Quello di essere indiani oggi, cittadini della "più grande democrazia del mondo".