Un pezzo di anima ligure è fatto di creuze, le stradine pedonali che si arrampicano dal mare ai monti o percorrono la zona a mezza costa: un territorio da esplorare, libero dal traffico motorizzato, che ci riporta al piacere di andarsene a spasso a piedi. Bisogna prendersi il tempo necessario, ovviamente. Conviene visitare i centri storici di Camogli e dintorni, Santa Margherita da un lato, Recco (per alcuni aspetti) e Sori dall’altro, intervallando le esplorazioni di carrugi, piazzette e chiese con le stradine poco conosciute, spesso con selciati di mattoni, che vanno verso l’alto, o corrono parallele alle arterie motorizzate là sotto. Esiste ancora una Liguria diversa.

Puntuali in queste esplorazioni gli sbocchi al mare (affacci panoramici, piccole spiagge di ciottoli, scogliere). Si spalancano ad ogni passo, tra gli ulivi, orti terrazzati in quantità – non solo ville col giardiniere (anche se queste ultime sono fin troppe). Capita perfino di incontrare torri saracene e piccole chiese romaniche.

Al centro del sistema Tigullio, così si chiama la zona di cui sto parlando, c’è il magnifico Monte di Portofino, Parco dal 1936. Una delle aree protette più belle d’Italia, da percorrere lungo e in largo (vanta 80 km di sentieri!). Ma anche al di fuori del Parco vale quanto ho detto sopra: si tratta di un territorio godibile e fuori dagli schemi. Le creuze rese celebri da Fabrizio De Andre’ rappresentano davvero un lembo di identità ligure. Nascosto ai più, che va scoperto.

Il Monte di Portofino visto dalla spiaggia di Camogli. Foto Renzo Garrone

Andare a piedi per comprendere il territorio
Per capire una regione bisogna rintracciarne la storia. E per secoli qui, oltre che per mare, si è andati a piedi. Fino al secondo dopoguerra, le strade sono rimaste strette e difficili. Ancora negli anni 70 del 900, per recarsi da Genova a Spezia in pullman serviva quasi una giornata di faticosi saliscendi ed infinite curve sull’Aurelia - poi arrivò l’autostrada ed oggi questo tracciato si compie in un’ora. C’è un prezzo da pagare però, piccolo o grande a seconda dei punti di vista. Non soltanto perchè le autostrade in Liguria sono le piu’ care d’Italia (!). Il prezzo peggiore è costituito dal rumore delle macchine che, con il passaggio dell’autostrada, ha invaso valli prima perfettamente silenziose, e adesso attraversate trasversalmente da un gran numero di viadotti. Questi ultimi, arditi ma funzionali, erano inevitabili, ma hanno indotto un inquinamento acustico elevato. C’è modo di evitarlo solo ponendosi al riparo dei crinali, dove miracolosamente il frastuono svanisce, schermato dai rilievi.

Viadotti a parte il territorio di Camogli e dintorni, come quello delle varie Recco, Santa Margherita, Rapallo, si allarga all’ombra del Monte di Portofino - per tutti qui semplicemente “Il Monte”. Una presenza importante, che in tante altre parti del mondo sarebbe probabilmente considerata sacra. In Italia la parola Portofino evoca però un immaginario prevalente, legato al borgo omonimo con la piazzetta dei vip. Dove sbarcavano e sbarcano attori ed attrici famosi quasi fossero in passerella, e personaggi del jet set. Dove attraccano enormi yacht di emiri e tycoons vari. Dove Berlusconi si faceva vedere spesso negli anni del suo zenith, appoggiandosi alla propria villa di Paraggi. Eccetera. Ed il borgo di Portofino è una cosa carina, ben tenuta, bella da vedere. Che, nonostante la sua esiguità, fa comune. Che come tutta la Liguria ha i suoi problemi di spazio, di traffico nei weekend, e certo anche di prezzi: del resto non può trattarsi di una meta popolare.

Ma tutto questo riguarda solo un’enclave di pochi km quadrati- il borgo di Portofino. Il resto è natura, per fortuna protetta da un Parco. E quello di Portofino, come accennato, è uno dei più antichi Parchi Naturali d'Italia. Area protetta di grande pregio, offre scorci paesaggistici davvero incredibili. Mentre la regione tutt’attorno, il Tigullio, rimane un luogo dove abita tanta gente del posto. Gente normale, che lavora, e che qui continuerà ad abitare, visti i molteplici pregi della zona. Anche se si tratta di una terra difficile.Oltre a quella dei sogni e dei luoghi comuni, oltre a quella dei depliant e del turismo pesantemente commerciale esiste infatti, come succede dappertutto, una Liguria più vera, quotidiana. Che aspetta chi preferisce portarsi a casa un’immagine realistica dei luoghi, piuttosto che crogiolarsi con le mitologie. Una regione coi suoi abitanti, che invecchiano sempre di più, ma vivono e lavorano come dappertutto. Che ancor oggi, almeno in parte, intrattengono una relazione profonda con l’ambiente in cui si è immersi.

Camogli e buona parte del Tigullio non sono affatto come Genova in questo, Genova bellissima ma spesso sfigurata, città che va scoperta con uno scavo paziente oltre la facciata, oltre la speculazione edilizia e le colate di cemento degli anni '60 e dei '70. La Genova oggi post-industriale che conserva comunque una sua unicità, nei viottoli, nei portoni, negli interni decorati, nell'atmosfera. Questa dicotomia nel Tigullio non c’è, qui tutto è più sereno. Verde e mare a due passi rappresentano un elemento qualitativo non scontato nelle nostre città, che viceversa nel Tigullio è centrale. Molti di noi godono appunto del privilegio di vivere in campagna, ma vicini al mare. Ivano Fossati canta, appropriatamente, di questi posti davanti al mare. Fossati, genovese, vive a Leivi, appena nell'entroterra del Tigullio.

Mare sole e clima mite. Vivere civilmente
Il clima mite della Liguria fa il resto. Se chiedete agli abitanti cosa amano della loro zona in massima parte citeranno il mare e il clima.
Il mare è una massa d’acqua immensa, energetica, dritta davanti a noi, sempre. Un mare profondo spesso già ad una cinquantina di metri da riva. Grande risorsa, pauroso anche se meraviglioso quando è agitato.
Il clima ha risvolti deliziosi, e ad esso questo arcobaleno di regione deve tante delle sue fortune. Numerose sono le giornate di sole e di vento durante tutto l’anno. Le temperature restano miti d’inverno, e d’estate quasi sempre meno calde che nel resto d’ Italia: la Liguria è il lembo più temperato che esista di Italia del nord. Per la maggior parte dell’anno l’escursione termica tra il giorno e la notte è minore che nel resto della penisola (anche se in luglio – agosto ormai tutto diventa umidissimo ed afoso). C’è però un rovescio della medaglia, purtroppo. Che consiste nella manifesta estremizzazione, durante le mezze stagioni, del medesimo clima. Quindi abbiamo nubifragi, piogge e venti di spaventosa intensità, mareggiate da oceano, ed il tutto ci arriva addosso con cadenza sempre più frequente.
Il contesto, comunque, potrebbe continuare a regalarci ogni giorno gioie notevoli se solo sapessimo godercelo di più. Se ci prendessimo il tempo per viverlo davvero, per camminare, respirare, occuparcene, studiarlo, utilizzarlo per lavorare in rapporto diretto col territorio. Si faceva una volta, oggi sono rimasti in pochissimi nelle occupazioni legate alla pesca ed all’agricoltura.
Parlo anche per esperienza personale: cammino spesso per queste creuze, e come capita a molti liguri, mi è difficile fare a lungo a meno del mare. Curo sotto casa un piccolo orto dove cresco insalata, aromi, pomodori, fagiolini, zucchini. Esser giusti su un metro di terra, cantava il solito Gaber negli anni '70.

Il porticciolo di Camogli visto dalla galleria di accesso al molo. Foto Renzo Garrone 

Camogli, di questo spicchio di regione, resta uno dei borghi più belli e caratteristici. Uno spazio (pedonale ante-litteram) dove la qualità della vita è di casa. Un paese di 5300 residenti ufficiali, di cui però meno di 4000 stabili, e dove un esercito sono le seconde case. Un paese che, miracolosamente tagliato fuori dal percorso autostradale tracciato nei tardi anni '60, ha conservato l’assetto antico ed equilibrio e silenzio per molti giorni l’anno. Che, tornando ancora più indietro, ha visto la nascita della sua passeggiata a mare già nei primi del '900 (la passeggiata prima non esisteva), a seguito della demolizione di un’intera schiera di palazzi ormai degradati, che sul mare si affacciavano direttamente. Protagonista della demolizione fu il sindaco del tempo. Oggi questo spazio liberato rappresenta un elemento di enorme pregio per i residenti, e un asset incredibile per il turismo: la spiaggia è esposta a sud, nelle giornate di sole diventa un luogo magnifico. I visitatori che d’inverno qui piovono in gran numero arrivano quasi sempre dalle brume del nord, specie dalle fredde regioni padane, e restano allibiti. Vi si fermano per intere giornate festive (interrotte solo da un salto alla focacceria più vicina), incapaci di lasciare quella luce e quel tepore. A riscaldarsi le ossa, a dormicchiare, a leggere, a liberare i bambini in uno spazio miracolosamente libero e naturale, eppure sicuro.
La Liguria ha bisogno di spazi a mare per fiorire, qui ce li abbiamo: ci è andata bene. Avremmo bisogno pure di spazi ulteriori, che andrebbero conquistati, aggiunti alla terraferma, alle scogliere. Di spazi restituiti al vivere civile, dove la gente possa godere di questa vicinanza al mare, dove riposare, camminare, prendere il sole. Dove i bambini possano imparare a camminare (come in parte hanno potuto fare i miei), e poi giocare senza rischiare d’essere investiti se attraversano la strada. Dove gli adulti riescano a recuperare quella dimensione conviviale che rappresenta un aspetto fondamentale, elevato, del vivere civile.

D’altra parte anche qui, come ormai in tanti altri paesi e in molteplici destinazioni, altrove e in Italia, il turismo rappresenta la prima fonte di introiti e di occupazione. A qualcuno potrà non piacere, ma si vive di questo.
Tutto bene? Non sempre. Il fenomeno, sempre più massiccio, va governato meglio. Molto di più di quanto oggi avvenga. Il turismo è cambiato in pochi anni un pò in tutto il mondo, la sua accelerazione è impressionante ovunque, sta raggiungendo numeri stratosferici. Sia perchè parla all’immaginario della gente (quella che se lo può permettere) con la promessa di evasione immediata, sia per l’esplosione della rete – oggi tantissimi si organizzano da sé coi voli low cost e il fenomeno Airbnb. Camogli non fa eccezione: grazie al suo fascino, tourism is here to stay. Bisogna, come dappertutto, imparare a gestirlo meglio.
Le scommesse da giocare qui, di cui parlo nei prossimi articoli, riguardano due grandi ambiti.

 

L'Abbazia di San Fruttuoso vista dalla barca di linea per Camogli, 2018. Foto Renzo Garrone.

Accoglienza, turisticizzazione, autenticità
C‘è il tema della capacità di accoglienza, ossia dei limiti da porre ad un flusso eccessivo di visitatori. Per la loro diluizione, ad esempio, su porzioni più ampie di territorio, che nel caso di Camogli non si limitino alla passeggiata a mare, alla spiaggia, alla frazione di San Fruttuoso.
Ed il tema della banalizzazione culturale, e della perdita di autenticità. Che investe tutte le destinazioni del turismo di massa, rango poco ambito ma al quale anche Camogli, pur con tutte le sue specificità qualitative, sta assurgendo rapidamente, a grandi passi. Camogli resta un luogo assai godibile, ma il degrado in termini di autenticità è perfettamente visibile. Banalizzazione e inautenticità non dipendono specificamente o solo dal turismo. Oggi rappresentano piuttosto un fenomeno ricorrente, anche in tante altre destinazioni, in tutto il pianeta. In esse il turismo, quale spirito dei tempi, è sempre una componente decisiva. La domanda è: esiste un antidoto? Altrove si è provato ad escogitare rimedi diversi. Ma cosa si muove a Camogli e dintorni?